Avvocati Part Time

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(da www.servizi-legali.it )

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 11833/2013 e altre analoghe, decise all'udienza del 9 aprile 2013 e depositate il 16 maggio 2013 (la n. 11833/2013 la trovi anche su www.guidaaldiritto.it ), hanno rigettato alcuni ricorsi presentati da "vecchi avvocati part time" avverso la loro cancellazione dall'albo forense che era stata disposta per l'incompatibilità, sancita con l. 339/03, tra professione di avvocato e impiego pubblico a part time ridotto. MA NON FINIRA' COSI' LA GUERRA DEGLI AVVOCATI PART TIME PER UNA REGOLAZIONE PRO-CONCORRENZIALE DELLA PROFESSIONE FORENSE !

Dalla sentenza della Cassazione n. 11833/2013 (e analoghe depositate il 16/5/2013) risulta, innegabilmente, una gravissima discriminazione dei soliti "deboli" rispetto ai soliti "potenti".
La sentenza, inoltre, riveste un interesse che va oltre la singola categoria professionale degli avvocati: incide sulla portata generale della liberalizzazione delle professioni ordinistiche, programmata col d.l. 138/2011 "in ogni caso alla data del 13 agosto 2012". Tale liberalizzazione, infatti, viene decisamente ridimensionata dalle SS. della Cassazione rispetto a quanto desumibile da alcune sentenze della Corte costituzionale: n. 200/2012, n. 299/2012; n. 8/2013).
Nel commentare la decisione delle Sezioni Unite 11833/2013 (e sentenze "gemelle") non si può che partire dal riconoscimento che è ormai "costituzionalmente necessario" realizzare una sana concorrenza all'interno delle (e tra le) professioni. E si tratta di una considerazione valida per tutte le professioni, "regolamentate in Ordini" e no.
Anche per la professione di avvocato (già da Corte cost. 189/2001 definita "naturalmente concorrenziale"), dunque, il principio di concorrenza dovrebbe estrinsecarsi nella c.d. "proporzionalità della regolazione" e portare, tra l'altro, a verificare:
1) se le vigenti presunzioni di incompatibilità all'"esercizio della professione forense (che è sempre e comunque, per logica elementare che voglia riconoscere la necessità umana, un esercizio a part-time della professione di avvocato) siano tutte idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito di tutela dei consumatori (o, se si preferisce, dei clienti dell'avvocato) e la buona amministrazione della giustizia;
2) se alcuna delle vigenti presunzioni di incompatibilità all'esercizio della professione di avvocato vada oltre quanto necessario per il raggiungimento dello scopo, rivelandosi sproporzionata rispetto ad esso;
3) se ricorrano o meno ragioni imperative di interesse generale in grado di giustificare la restrizione della libera prestazione del servizio professionale di avvocato che dette presunzioni realizzano;
4) se le norme professionali relative all'esercizio della professione di avvocato e in particolare quelle di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità siano (o debbano essere strutturate in modo da essere) di per se sufficienti per raggiungere gli obiettivi che, invece, il vigente sistema di compatibilità-incompatibilità persegue ancora attraverso presunzioni odiose di conflitti di interessi.
Bisognerebbe pure ricordare che l'art. 15 della Carta delle libertà fondamentali dell'Unione europea recita: "Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata".
Da tale norma europea fondamentale e dall'applicazione del criterio della "proporzionalità della regolazione", come sopra articolato, si dovrebbe dedurre anche la risposta regolatoria più costruttiva alla crisi economica dell'Avvocatura italiana (proletarizzata per la sua testarda chiusura verso forme organizzative che lascino spazio al capitale di rischio, a sinergie con professionisti diversi, a attività lavorative ulteriori del singolo avvocato). Inoltre, la "naturale concorrenzialità" della professione forense dovrebbe imporre -per quanto insegna la Corte costituzionale- una legislazione primaria non solo capace di preservare il livello di concorrenzialità raggiunto ma anche capace di stimolare il raggiungimento di un livello di concorrenza più elevato tra i professionisti del Foro.
E invece che si è fatto con l'art. 18 della (pseudo)riforma della professione forense (l. 247/12) in tema di incompatibilità?
Si sono interpretati gli articoli 3, 4, 35, 41, 97 e 117 della Costituzione in modo da renderli innoqui per i privilegi corporativi d'una parte della Avvocatura italiana (potremmo parlare di insiders); s'è interpretato l'art. 24 della Costituzione come se fosse posto a tutela della corporazione degli avvocati, anzichè a tutela dei loro clienti; si è ignorato l'art. 15 della Carta delle libertà fondamentali dell'Unione europea. In sintesi s'è creato, con lo strumento delle incompatibilità, un bel recinto (che sembra proprio una riserva indiana) nel quale "salvaguardare" gli avvocati "puri" dalla contaminazione con serie iniziative imprenditoriali (bollate come mercantiliste) e con altri lavori (autonomi o dipendenti, e persino a part time ridotto nel pubblico impiego). 
Inoltre, pur confermando l'attribuzione di potestà disciplinare al sistema ordinistico, non s'è voluto abbandonare (vedasi in particolare l'art. 18 della riforma forense) l'impianto generale delle presunzioni astratte e liberticide di incompatibilità d'epoca fascista: si è voluto evitare che fossero i Consigli degli Ordini degli Avvocati (e, a regime, i Consigli distrettuali di disciplina) a controllare "in concreto" se la ulteriore attività di impresa o lavorativa che l'avvocato voglia fare sia effettivamente fonte di conflitto di interessi, o sia minaccia seria all'indipendenza e autonomia che devono esser richieste a un avvocato, o comporti un rischio serio di accaparramento di clientela in violazione della naturale concorrenzialità della professione forense.
Eppure i Consigli degli Ordini locali e i futuri Consigli di disciplina ben potrebbero (una volta riscontrata "in concreto" -in contraddittorio con l'avvocato iscritto all'albo, o aspirante tale, e con la possibilità d'una impugnativa giurisdizionale del provvedimento adottato dall'Ordine- la presenza dei suddetti gravi rischi di conflitto di interessi, o di accaparramento di clientela, o di violazione dell'indipendenza dell'avvocato) applicare le proporzionate sanzioni disciplinari che il codice deontologico degli avvocati prevede e che possono giungere sino alla sanzione espulsiva dall'albo.
Mi sembra necessario che il Parlamento o la Corte costituzionale, intervenendo a fondo sulla l. 247/12, cancellino le incompatibilità presuntive che sono previste dal suo art. 18 (così come -in riferimento ad un singolo tipo di incompatibilità "presuntiva" e atteggiandosi quasi a legislatore anzichè a interprete delle leggi- ha preteso di poter fare il Consiglio Nazionale Forense con un suo parere, reso il 20 febbraio 2013 all'Ordine degli avvocati di Napoli, col quale, superando il dato letterale di cui all'art. 18, lettera a, della l. 247/12, s'è ritenuto che gli avvocati possano fare anche l'amministratore “esterno” di condominio).
Sulla scia dell'insegnamento della sentenza della Corte di Giustizia del 5/12/2006 resa nelle cause "Cipolla" (C-94/04) e "Macrino" (C-202/04) (vedi specialmente i paragrafi 60 e seguenti con riguardo ai punti da 1 a 4 sopra enunciati), il Parlamento o la Corte costituzionale dovrebbero vagliare anche le incompatibilità confermate dalla (pseudo)riforma forense. L'esame critico della nuova regolamentazione della professione di avvocato deve partire proprio dal "sistema" delle compatibilità e incompatibilità all'esercizio della professione. Si scoprirà così che tale “sistema” è caratterizzato dall'evidente irragionevolezza dei limiti posti alla fondamentale libertà di lavoro professionale attraverso talune presunzioni odiose di conflitti di interessi.

Domandiamoci: perchè mai l'avvocato secondo la legge di riforma forense, n. 247/2012 , oltre a tutti i lavori indicati nella vignetta qui sopra, può fare anche il parlamentare (senza nemmeno correre il rischio d'esser cancellato dall'albo forense ex art. 21, comma 6, l. 247/12, per mancanza di effettività, continuità, abitualità e prevalenza dell'esercizio professionale; e senza nemmeno dover sottostare al dovere di formazione continua, ex art. 11, comma 2, l. 247/12) o può fare anche l'amministratore di un ente o consorzio pubblico o di una grande società a capitale interamente pubblico (ex art. 18, lettera c, ultimo periodo, della l. 247/12) ma non può fare anche l'impiegato pubblico a part time ridotto (si badi che l'impiegato pubblico a part time ridotto è ammesso a fare tutte le professioni tranne quella di avvocato, ex art. 1, comma 56 e ss., della l. 662/96) ?
Quanto a decoro della professione forense, non mi si dica che fare l'impiegato pubblico (non dirigente) a part time ridotto è indecoroso, mentre fare il parlamentare è decoroso.
E non mi si dica che il semplice impiegato pubblico (non dirigente) a part time ridotto (che nemmeno la legge “anticorruzione”, n. 190/2012, e neppure il d.lgs. attuativo n. 39/2013 reputano degno di sospetto e di misure preventive della corruzione) è più “pericoloso” -quanto al rischio di accaparramento di clientela o di conflitto di interessi o di vulnus alla necessaria indipendenza del difensore- di un parlamentare o di un amministratore di grande società pubblica (per non parlare di un giudice di pace o di un Commissario di Governo o di un vice procuratore onorario, o di un "giudice ausiliario" tutti ammessi a fare anche l'avvocato).
Già in base a tali considerazioni (che di seguito approfondisco) le Sezioni Unite della Cassazione avrebbero potuto (e a mio avviso, avrebbero dovuto farlo, sempre che non avessero ritenuto, ancor prima, di dover disapplicare la l. 339/03 per contrasto col diritto dell'U.E.) sollevare questione di legittimità costituzionale della l. 339/03 e dell'art. 18 l. 247/12 e in particolare delle disposizioni che ancora impongono una presunzione odiosa di incompatibilità tra professione di avvocato e impiego pubblico a part time ridotto.
Non l'hanno fatto: speriamo che le Sezioni Unite lo facciano alla prossima occasione o che il Parlamento ponga subito rimedio alla discriminazione degli impiegati pubblici a part time ridotto (non dirigenti, visto che i dirigenti pubblici non possono essere a part time) rispetto alle troppe categorie di soggetti che vengono ritenuti "compatibili" coll'attività di avvocato, anche se, di certo, sono più a rischio di conflitti di interesse di quanto non lo siano gli impiegati a part time ridotto.
Questi ultimi sono oggi trattati, dall'Italia repubblicana e democratica fondata sul lavoro, come i servi fisci d'epoca romana. E, a ben vedere, son trattati, in relazione alla attività professionale, peggio ancora di come le leggi razziali fasciste trattarono gli avvocati ebrei, ai quali era consentito almeno di patrocinare a favore degli altri ebrei.
Cosa succederebbe se la Corte costituzionale o il Legislatore "smontassero" il sistema delle incompatibilità "presuntive" degli avvocati e, onerassero il sistema ordinistico, responsabilizzandolo, della applicazione proporzionata delle sanzioni disciplinari in caso di accertamento "in concreto" di conflitti di interessi o accaparramenti di clientela o carenze della dovuta indipendenza d'avvocato? Non succederebbe niente di male e si toglierebbero di mezzo presunzioni odiose -oltre che asistematiche e spesso evidentemente irragionevoli- di incompatibilità. 
In fondo, l'Avvocatura italiana, una volta che fosse liberata dalle irragionevoli incompatibilità che oggi la limitano (impoverendola) potrebbe -senza danno alcuno per i clienti degli avvocati e per il superiore bene della Giustizia- produrre più ricchezza, non solo per se ma per il Paese.
Peraltro, sarà sempre il mercato a selezionare i migliori professionisti, mentre la responsabilità civile dell'avvocato, la sua polizza assicurativa, la formazione continua obbligatoria e il costante controllo deontologico del Consiglio dell'Ordine garantiscono a sufficienza il cliente (anche quello non particolarmente avveduto), e, NEL LORO OPERARE CONGIUNTO COSTITUISCONO UNA NOVITA' CHE RILEVA AI FINI DELLA SOPRAVVENUTA INCOSTITUZIONALITA', PER IRRAGIONEVOLEZZA E SPROPORZIONE, DELLA PREVISIONE DI NUMEROSE (SE NON TUTTE) TRA LE VIGENTI INCOMPATIBILITA' "PRESUNTIVE". In particolare, le recenti novità della formazione continua obbligatoria e della polizza assicurativa della responsabilità professionale -proprio per l'operare congiunto con la incrementata vigilanza da parte dei Consigli degli Ordini degli Avvocati (la cui efficacia cresce, tra l'altro per l'obbligo della Posta Elettronica Certificata, per le comunicazioni tra Ordini e per l'istituzione d'un "registro nazionale" degli avvocati presso il CNF) e con la responsabilità civile dell'avvocato- possono ormai dimostrare l'inutilità di limiti eccessivi (eccessivi sono quelli che, per usare il linguaggio della Corte di giustizia, non derivano da esigenze imperative di interesse generale) alla libertà del professionista avvocato di svolgere anche attività lavorative ulteriori rispetto alla professione forense, stante l'indiscutibile "lassismo" di molte previste compatibilità.
Non si può più tardare (anche per il danno che, in termini economici, deriva all'Italia dall'irragionevolezza del sistema delle incompatibilità) a realizzare un ragionevole e coerente sistema di compatibilità e incompatibilità per la professione di avvocato (che è quella più spesso accusata -e non a torto- di eccessi corporativi).
Si deve salvaguardare anche così il "bene" della concorrenza; "bene" ormai indicato anche dal Parlamento Europeo come finalità del processo di riforma delle professioni e, in Italia, riconosciuto nella Costituzione all'art. 117.

La storia si ripete. Come e peggio di come il regime fascista trattò gli ebrei, oggi lo Stato italiano tratta gli impiegati pubblici a part time ridotto. Oggi si dispone (con l'arroganza d'un corporativismo vitale come non mai): fuori dall'albo forense i servi fisci !

Strano il parallelo che sembra realizzarsi tra la cancellazione dagli albi forensi degli avvocati ebrei sotto il fascismo e quella degli impiegati pubblici a part time ridotto nella democraticissima Italia d'oggi: due operazioni di "pulizia etnica" della classe forense. Entrambe vergognose. Leggo a pag. 33 del libro di Paolo Bernardini "La questione ebraica nel tardo illuminismo tedesco": "Nel XVIII secolo si radica sempre più, tra i giuristi, l'opinione che all'Ebreo non possa essere negato (che de facto e anche de iure lo sia, è tutt'altra questione) il titolo di cittadino romano (s'intende del Sacro Romano Impero), e che quindi non debba essere considerato come servus fiscalis o servus camerae, come invece avveniva. Gli Ebrei in quanto cittadini romani, dovevano quindi godere .

Vedi, sul tema, un mio vecchio articolo dal titolo "Pulizie etniche d'avvocati: part time, ebrei e dipendenti di colleghi".

UN INTERESSANTE INTERVENTO DI GUIDO ROSSI.

Guido Rossi scrive su ilsole24ore del 17 marzo 2013, nell'articolo di fondo intitolato "La caverna di Platone e il conflitto di interessi":

"Il conflitto di interessi rimane una delle più gravi malattie dell'ultima fase del capitalismo e la sua presenza nelle istituzioni e negli organismi di vigilanza sfugge ad ogni tipo di normativa, anche specifica, comunque assolutamente inadeguata e che rischia di continuare ad esserlo se non si pone mano alle riforme strutturali dello stesso sistema democratico.

L'essere intellettualmente vittime dell'apparenza, invece che della realtà, nonchè il far prevalere i pregiudizi sul giudizio rende, soprattutto nel nostro Paese, ogni sistema legittimato, interno od esterno, pronto a giudicare, molto spesso con criteri esclusivamente autoreferenziali e distruttivi, perchè solo di presunta vigilanza e non di effettivo controllo. Sarà forse tempo che anche sul conflitto di interessi si cominci a meditare che nel bene e nel male, sempre come diceva Keynes, son peggio le idee recepite che non gli interessi precostituiti; questi di più facile ma di meno dannoso smascheramento. Le varie tipologie della rete, attraverso le condivisioni in comune, i creatori di opinioni, le influenti lobby di maggioranza o minoranza, l'appartenenza a conventicole di ogni genere, le indiscriminate campagne politiche ed economiche, che pretendono di avere qualità salvifiche, sono il fertile terreno in cui i conflitti di interesse diventano imperativi e dominanti, anche se sovente vissuti inconsciamente".

A modello d'azione utile contro i conflitti di interessi Guido Rossi indica l'indagine concreta sul caso singolo e non l'applicazione di presunzioni odiose di conflitto di interessi. Porta ad esempio il recente esame, innanzi al Senato degli Stati Uniti, di Mary Jo White, designata dal Presidente Obama ma bisognosa della conferma senatoriale per assurgere alla carica di Presidente della SEC. Guido Rossi sottolinea come il conflitto di interessi sia stato al centro dell'esame di Mary Jo White e in particolare come le domande più incalzanti che le sono state poste siano state quelle che riguardavano la sua possibilità di essere soggetto di un potenziale conflitto di interessi, per l'attività antecedentemente resa nella sua qualità di avvocato delle grandi società e delle banche quotate a Wall Street.

Controlli, in concreto, il più possibile!

 

 

 

CLICCA SUI LINK E LE IMMAGINI QUI SOTTO PER APPROFONDIRE LE RAGIONI PER LE QUALI LA SENTENZA DELLE SS.UU. CIVILI DELLA CASSAZIONE N. 11833/2013 (COME LE SENTENZE "GEMELLE" PUBBLICATE IL 16 MAGGIO 2013) E', SOTTO VARI ASPETTI, ERRATA E DEVE ESSERE SUPERATA. PUOI ACCEDERE AGLI APPROFONDIMENTI CRITICI SULLA SENTENZA IN COMMENTO, CHE ATTENGONO A:

 


1) IL C.N.F. MANCA DI TERZIETA'-INDIPENDENZA-AUTONOMIA DI GIUDICE.    LA CORRELATA INCOSTITUZIONALITA' DELLA LEGGE PROFESSIONALE FORENSE DEL 1933 E DELLA LEGGE DI RIFORMA FORENSE (N. 247/2012), ANCHE PERCHE' REALIZZANO UNA "TUTELA GIURISDIZIONALE DEBOLE" DELL'AVVOCATO IN TEMA DI DISCIPLINA E TENUTA DEGLI ALBI FORENSI.

 

2) LA L. 339/03 E' STATA ABROGATA, AL PIU' TARDI, IL 4 MAGGIO 2013. CONFUTAZIONE DI CASSAZIONE, SS.UU. CIVILI, n. 11833 (ud. SS.UU. del 9 aprile 2013 - sentenza depositata il 16 maggio 2013, assieme ad alcune sentenze "gemelle") CON RIGUARDO ALL'ABROGAZIONE DELLA L. 339/03 AD OPERA DEL D.L. 138/2011 (CONFERMATA DAL D.P.R. 137/2012) E, COMUNQUE, AD OPERA DEGLI ARTICOLI 9, COMMA 2, E 22, COMMA 1, DEL D.LGS. 39/2013 ENTRATO IN VIGORE IL 4 MAGGIO 2013.

 

 

3) DISCRIMINAZIONE "AL ROVESCIO" DEL CITTADINO ITALIANO CHE INTENDA ISCRIVERSI ALL'ALBO DEGLI AVVOCATI.

L'ART. 14-BIS L. 11/2005 E L'ART. 53 L. 234/2012IMPONGONO DI NON APPLICARE LE NORME GENERATRICI DI DISCRIMINAZIONE "A ROVESCIO" DELL'ITALIANO RISPETTO AI CITTADINI DEGLI ALTRI PAESI DELL'UNIONE EUROPEA E ASSIMILATI) DEL CITTADINO ITALIANO CHE INTENDA ISCRIVERSI ALL'ALBO DEGLI AVVOCATI.

 

 

4)  L'ART. 18, LETTERA D, DELLA L. 247/12 ABROGA LA L. 339/03.

PER L'AVVOCATO E' INCOMPATIBILE L' "ATTIVITA' DI LAVORO SUBORDINATO", NON LA MERA SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI "IMPIEGO".

 

5) DISAPPLICARE LA L. 339/03 E L'ART. 18, LETTERA D, DELLA L. 247/12 (se lo si intende come l'intende Cass. SS.UU. 11833/2013) PERCHE' CONTRASTANTI CON I PRINCIPI COMUNITARI DI PROPORZIONALITA' DELLA REGOLAZIONE E DI NON DISCRIMINAZIONE.
IN SUBORDINE, PORRE QUESITI PREGIUDIZIALI SU TALI TEMATICHE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA.

 

6) NECESSITA' DI PROPORRE ULTERIORI QUESTIONI DI COSTITUZIONALITA' DELLA L. 339/03 (DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 166/12), NONCHE' DI PROPORRE QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 18, LETTERA D, DELLA L. 247/12 (NELL'EVENTUALITA' IN CUI SI RITENGA CHE NON SIA DA DISAPPLICARE IN FORZA DELLA PRIMAZIA DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA).


Incostituzionalità, tra l'altro: per irragionevolezza nel perseguire la prevenzione del conflitto di interessi; per reintroduzione di incompatibilità senza che ciò sia imposto da motivi imperativi di interesse generale e anzi quale non necessario "duplicato" della cancellazione disciplinare dall'albo; per mancata concessione di un periodo transitorio dopo l'abrogazione dell'incomptibilità ad agosto 2012; per disparità di trattamento e per discriminazione che si realizzano nei confronti dell'impiegato pubblico a part time ridotto rispetto a parlamentari, Commissari di governo, giudici di pace, VPO, GOT, GOA ecc.. , tutti ammessi a fare anche l'avvocato; per trattamento deteriore,  introdotto dalla legge 247/12, degli impiegati pubblici a part time ridotto, rispetto agli insegnanti e ai dipendenti di uffici legali degli enti pubblici, riguardo alla permanenza dell'iscrizione negli albi forensi mentre si introducono più rigide incompatibilità (solo alcune categorie di privilegiati diventano "avvocati ad esaurimento"); per violazione del principio di proporzionalità e conseguentemente dell'art. 8 CEDU attraverso i contrasti, nel sistema delle compatibilità e incompatibilità forensi, tra incompatibilità troppo rigorose e compatibilità lassiste (tra queste ultime la l. 247/12, all'art. 18, lett. c, aggiunge i casi di amministratori di società pubbliche, mentre l'art. 11, comma 2, e l'art. 21, comma 6, aggiungono -con scandalosa esenzione da basilari doveri di formazione e continuità nell'attività professionale- i parlamentari; per irragionevolezza (ove si ritenga che la l. 339/03 sia posta a tutela del buon andamento della Pubblica Amministrazione e non a tutela del corretto esercizio della professione forense), stante la compiutezza del sistema (anche disciplinare) di controllo dell’impiegato pubblico, e stante la consequenziale suplerfluità delle previsioni di cui alla l. 339/03 e dell'art. 18, lettera d, della l. 247/12.

7) AFFIDAMENTO, DA PARTE DEI C.D. "VECCHI AVVOCATI PART TIME", NELLA STABILITA' DELLA L. 662/1996, ART. 1, COMMI 56 E SEGUENTI. LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 103/2013 (depositata il 29 maggio 2013) CONSENTE DI CONFUTARE CASSAZIONE, SS.UU. CIVILI, n. 11833 del 9 aprile 2013 (depositata il 16 maggio 2013) CHE ESCLUSE L' INCOSTITUZIONALITA' DELLA L. 339/03 PER VIOLAZIONE DELL'AFFIDAMENTO NELLA LEGGE DA PARTE DEI C.D. "VECCHI AVVOCATI PART TIME". NE CONSEGUE LA NECESSITA' DI RIPROPORRE LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELLA L. 339/03.

 

 

 

 

8) IMPOSSIBILITA' DI RITENERE CHE LA L. 339/03 ABBIA COMPORTATO LA REVIVISCENZA DELLA INCOMPATIBILITA' TRA PROFESSIONE DI AVVOCATO E IMPIEGO PUBBLICO A PART TIME RIDOTTO (ABROGATA DAL PRIMO PERIODO DEL COMMA 56 BIS DELL'ART. 1 DELLA L. 662/96 -INTRODOTTO DALL'ART. 6 DEL D.L. 79/1997-).

NECESSITA' CHE -OVE DIVERSAMENTE SI RITENGA- SIA PROPOSTA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE, PER IL "NATURALE "CARATTERE BILATERALE" DELLE CAUSE DI INCOMPATIBILITA' " (RIBADITO ANCHE DA CORTE COST. 120/2013 DEL 3 GIUGNO 2013, AI PUNTI 3.2 E 3.3 DEL "CONSIDERATO IN DIRITTO").

 

 

 

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Ultimo aggiornamento Sabato 16 Novembre 2013 09:55  


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