Avvocati Part Time

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Summa argomenti contro incompatibilità sproporzionate per la professione forense

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QUESTO LO SVILUPPO CRONOLOGICO DELLE REGOLE SULL'INCOMPATIBILITA' TRA IMPIEGO PUBBLICO E PROFESSIONE DI AVVOCATO.

Il regio decreto 1578/33, articolo 3, QUALIFICAVA la professione d'avvocato incompatibile con l'impiego pubblico.

La legge 662/96 (articolo 1, commi da 56 a 65, e in particolare, il comma 56bis) abrogò tale incompatibilità per la sola ipotesi in cui un preesistente rapporto di impiego pubblico (non come dirigente bensì come impiegato) full time fosse trasformato in un part time molto ridotto. Stabilì che l'impiegato pubblico già a full time (abilitato all'esercizio della professione d'avvocato) aveva diritto ad ottenere l'iscrizione in un albo d'avvocati e svolgere anche la professione (a meno che la pubblica amministrazione d'appartenenza avesse riscontrato un'incompatibilità in concreto tra lavoro svolto nella pubblica amministrazione e la professione d'avvocato), se avesse trasformato il rapporto di lavoro full time in corso in un rapporto a part time molto ridotto e cioè tra il 30% e il 50% dell'orario normale.

La autorizzazione delle pubbliche amministrazioni ai propri dipendenti in part time a fare anche l'avvocato poneva comunque sempre il limite (già posto dal decreto legge 79/97) del divieto di assumere patrocinio nelle controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione.

Per il massimo affidamento ingenerato dalla sentenza della Corte costituzionale 189/01 molti impiegati pubblici ridussero (talora oltre il 50% e sino al 30%) la percentuale del loro lavoro part time (lavoravano,  quindi, come impiegati un solo giorno di lavoro a settimana). Il 4/6/2001 l'On. Francesco Bonito presentò il progetto di legge che sarebbe poi diventato l. 339/03. La sentenza della Corte costituzionale 189/01 porta la data 4-11 giugno 2001.

Però con legge 339/03 venne reintrodotta l'incompatibilità tra impiego pubblico a part time ridotto e la professione forense. Ciò avvenne nonostante il parere contrario dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che giudicava almeno sproporzionata la reintroduzione dell'estrema misura dell'incompatibilità (vedi segnalazioni dell'Antitrust AS223 del 12/12/2001, AS602 del 18/9/2009 e AS974 del 9/8/2012).

La legge 339/03 stabilì che se entro 36 mesi gli avvocati che avevano ottenuto l'iscrizione all'albo in base alla legge 662/96, art. 1, comma 56 e seguenti, non avessero optato per l'esclusivo esercizio della professione forense, gli stessi sarebbero stati cancellati dall'albo.

La Corte costituzionale, con sentenza 166/12, dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Cassazione e, quindi, costituzionalmente legittima la legge 339/03 in quanto non manifestamente irrazionale e possibile parto di un legislatore che cambia idea.

Vai al link e inoltre considera i seguenti argomenti per l'abrogazione dell'incompatibilità tra professione forense e impiego pubblico a part time ridotto:

1) Avvocati dipendenti di studi legali? Sarebbe la peggiore delle incompatibilità a meno che questa novità sia una semplice conseguenza di un più ampio intervento in tema di incompatibilità nelle professioni e cioè a meno che, come da tempo propone l'Antitrust, non si giunga ad eliminare sia l’incompatibilità dell’esercizio di una attività professionale in forma dipendente, sia il contemporaneo esercizio di più attività professionali libere, sia il contemporaneo esercizio di una attività professionale libera e di una attività in qualità di dipendente.

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2) L'art. 18, lettera d, della legge n. 247/2012 stabilisce che la professione di avvocato è incompatibile con qualunque attività di lavoro subordinato, anche se con orario di lavoro limitato. Dunque, mentre a causa della sopra citata disposizione di legge e della legge 339/2003 non può più fare l'avvocato chi sia usciere di un ministero e come tale lavori a part time verticale al 30% (e in concreto sia impegnato un solo giorno  settimana come impiegato pubblico), può invece fare l'avvocato chi rivesta tutta una serie di posizioni di assoluto vertice in enti e consorzi pubblici e in società a capitale interamente pubblico (art. 18, lettera c, ultimo periodo, della legge 247/2012).

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3) La l. 339/2003 ha travolto del tutto il diritto quesito dei dipendenti pubblici che, appunto per poter fare anche l'avvocato (come aveva consentito la legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 1, commi 56, 56-bis e 57) avevano trasformato anni addietro il loro rapporto di lavoro pubblico in un rapporto a part time particolarmente ridotto: la l. 339/2003 (confermata dalla l. 247/2012) ha imposto la cancellazione dagli albi di questi avvocati.  Si torni in Corte costituzionale o il legislatore ci ripensi !

Per capire come mai sia giunto il momento di implemetare le professionalità interne alle pubbliche amministrazioni reintroducendo la compatibilità tra impiego pubblico a part time ridotto e la professione di avvocato si legga la sentenza della Cassazione, sez. 5, n. 28684/2018. Tale sentenza chiarisce quando l'Agenzia delle entrate possa farsi assistere da avvocati del libero Foro ma, ai punti da 6 a 14, dà conto delle attuali gravi difficoltà che le pubbliche amministrazioni incontrano per poter ricorrere agli avvocati del libero Foro sia nei gradi di merito che nel giudizio in Cassazione: ne risulta l'opportunità politica della reintroduzione della compatibilità suddetta, ciò seguendo le argomentazioni di Corte cost. 189/2001.

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4) L'unico tipo di rapporto di lavoro subordinato che secondo la Corte di giustizia è in grado di compromettere la necessaria indipendenza d'avvocato è quello in cui il datore di lavoro dell'avvocato sia anche il suo cliente. Vedasi Corte di giustizia, terza sezione, sentenza 10/9/2009, in causa C-97/07 P (Akzo Chemicals contro Commissione).

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5) Il CSM, col suo Parere sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57 (reso con Delibera consiliare del 15 giugno 2017) impone di riconsiderare la questione della proporzionalità o meno dell'incompatibilità sancita dalla legge professionale forense tra impiego pubblico a part time ridotto e professione di avvocato.

Infatti, a pag. 42 del detto parere del CSM si riconosce che "proprio gli avvocati sono la categoria che, presuntivamente, può dar luogo a maggiori problemi di incompatibilità, potendo gli stessi legittimamente esercitare la professione nello stesso distretto ed in circondari limitrofi (cfr. art. 5 dello schema)".

E a pag 44 del medesimo parere il CSM propone in tema di "IMPEGNO PROFESSIONALE ESIGIBILE DALLA MAGISTRATURA ONORARIA:

- sostituire, nei termini che seguono, il secondo periodo del comma 3 dell’art. 1 della legge delega:

“Al fine di assicurare tale compatibilità, a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un complessivo impegno lavorativo superiore a tre giorni di lavoro a settimana, comprensivo della partecipazione a non più di due udienze a settimana”.

ORBENE, SE COSI' LA PENSA IL CSM, E' EVIDENTE CHE DOVREBBE CONSENTIRSI AD UN AVVOCATO DI FARE L'IMPIEGATO PUBBLICO A PART TIME RIDOTTO (CON RISCHIO CERTO MINORE PER L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA DI QUELLO CHE L'ORDINAMENTO ACCETTA DI CORRERE OVE AMMETTE CHE UN AVVOCATO FACCIA ANCHE IL MAGISTRATO ONORARIO).

IN ALTRI TERMINI BISOGNA RICONSIDERARE LA QUESTIONE (POSTA DALLA SENTENZA JAKUBOWSKA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CHE DECISE LA CAUSA C-225/09) DELLA PROPORZIONALITA' O MENO DELL'INCOMPATIBILITA' CHE LA LEGGE FORENSE PONE TRA AVVOCATURA E IMPIEGO PUBBLICO A PART TIME RIDOTTO).

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6) La sentenza Piringer della Corte di giustizia del 9/3/2017 (causa C-342/15), affronta la questione della legittimità di una normativa nazionale che riserva ai notai l'attività di autenticazione delle firme apposte sui documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, di conseguenza, la possibilità per gli avvocati di esercitare tale attività negli stati membri che applicano una simile riserva.

La sentenza è interessante, per gli avvocati, anche sotto un diverso aspetto: per come argomenta ai punti da 48 a 71, consente di ritenere disapplicabile -per violazione della proporzionalità nel perseguire un obiettivo che pur costituisce una ragione imperativa di interesse generale (vedi soprattutto i punti 62 e 63 della sentenza in relazione all'ampia motivazione della sentenza della Corte costituzionale 189/01) l'art. 18 della legge 247/2012 nella parte in cui stabilisce l'incompatibilità tra iscrizione all'albo forense e impiego pubblico a part time ridotto. NON E' D'OSTACOLO LA SENTENZA JAKUBOWSKA CHE DICHIARO' ESPRESSAMENTE DI NON AVERE ELEMENTI PER GIUDICARE IN ORDINE ALLA QUESTIONE DELLA PROPORZIONALITA' DELLA REGOLAZIONE (CHE ORA VIENE RIBADITA ESSERE LA QUESTIONE FONDAMENTALE).

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7) Mi domando: perchè il lavoratore dipendente "giurista di impresa" può essere iscritto all'albo forense mentre il lavoratore dipendente pubblico a parte time ridotto non può?

Dalla newsletter del Consiglio Nazionale Forense dell'1/12/2016:

Il COA di Massa Carrara pone il seguente quesito: “Se sussista l’incompatibilità tra l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, posto che l’art. 2 comma 6 della L. 247/2012 stabilisce che ‘…è comunque consentita l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata’, e, l’art. 18 comma unico lett. d) sancisce che ‘la professione di avvocato è incompatibile: …d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”.

La risposta è nei seguenti termini:

L’art. 2 c. 6, della L. n. 247/2012, recepisce all’interno della disciplina delle professioni di avvocato la figura del “giurista d’impresa”, che pertanto non rientra nel regime delle incompatibilità di cui all’art. 18 della stessa legge.

Consiglio nazionale forense (rel. Salazar), 22 giugno 2016, n. 77

Quesito n. 210, COA di Massa Carrara

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8) Il 24/6/2015 s'è tenuta l'audizione del Predente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Prof. Giovanni Pitruzzella, innanzi alle Commissioni riunite Finaze e Attività produttive della Camera, nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul disegno di legge C.3012 recante "Legge annuale per il mercato e la concorrenza".

Pitruzzella ha sottolineato, trattando delle improcrastinabili aperture alla concorrenza nei servizi professionali, come la professione di avvocato, più delle altre, sia ancora, troppo regolata in senso anticoncorrenziale, specie in materia di incompatibilità.

Si legge, tra l'altro, a pag. 14 dell'intervento del Presidente dell'Antitrust: "Infine, l’Autorità ha evidenziato -auspicandone il superamento– la particolare restrittività del regime di incompatibilità previsto dalla legge forense, laddove la norma prevede che la professione di avvocato sia incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività di lavoro autonomo o dipendente part-time, nonché con l’assunzione di cariche sociali. Si tratta di limitazioni sproporzionate, atteso che eventuali situazioni di conflitto di interessi derivanti dallo svolgimento di altre attività possono essere risolte mediante la previsione di specifici obblighi di astensione dallo svolgimento delle attività in conflitto.

Nel valutare l’opportunità di un più deciso intervento di liberalizzazione nel settore delle professioni –e con specifico riferimento alla professione forense, che più di altre risulta caratterizzata dal permanere di vincoli al pieno dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali– non deve dimenticarsi che i processi di liberalizzazione dei servizi professionali sono suscettibili di avere un notevole impatto sul benessere economico collettivo, sulla crescita e sulla competitività."

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9) PRIMO FATTO NUOVO: l'inserimento, ad opera del maxiemendamento governativo al ddl di conversione in legge del d.l. 90/2014, del comma 1-bis all'art. 2 del decreto legge.  Prevede il nuovo comma 1-bis: "È fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente". L'obbligatorio affidamento delle convenzioni di negoziazione alle avvocature interne, ove esistenti, rende palese che, nei frequentissimi casi nei quali una "propria avvocatura" non esista, occorre assolutamente evitare che le pubbliche amministrazioni (che in tema di negoziazione assistita non ricorreranno di frequente alla Avvocatura generale dello Stato) possano candidamente affidarsi, per farsi assistere nell'enorme mole di procedure di negoziazione assistita che si troveranno presto a dover gestire, alla preparazione professionale "settoriale" di (interessati) avvocati esterni.

SECONDO FATTO NUOVO: La chiara presa di posizione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, con segnalazione AS1137 del 4/7/2014, indirizzata al Presidente della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per lo sviluppo economico (segnalazione pubblicata sul Bollettino dell'Autorità n. 27 del 7/7/2014),  formula essenziali "PROPOSTE DI RIFORMA CONCORRENZIALE AI FINI DELLA LEGGE ANNUALE PER IL MERCATO E LA CONCORRENZA ANNO 2014". Ha evidenziato l'Antitrust, nella detta segnalazione AS1137, che "la disciplina dell’ordinamento forense prevede un regime di incompatibilità molto stringente con lo svolgimento di qualsiasi attività di lavoro autonomo o dipendente part-time, nonché con l’assunzione di cariche sociali. Inoltre, viene limitata l’iscrizione degli avvocati negli albi professionali diversi da quelli espressamente indicati (articolo 18). Si tratta di limitazioni sproporzionate atteso che eventuali situazioni di conflitto di interessi derivanti dallo svolgimento di altre attività possono essere risolte mediante la previsione di specifici obblighi di astensione dallo svolgimento delle attività in conflitto".

Partiamo dall'analisi dell'articolo 41 del decreto legge 90/2014 "Misure per il contrasto all'abuso del processo". Contro l'abuso del processo ammiistrativo esso introduce sia un aggravamento della responsabilità verso controparte vittoriosa, sia una vera e propria sanzione pecuniaria a carico di parte soccombente. Vuol punire soprattutto chi avvia cause manifestamente dilatorie, o per ragioni dilatorie resiste in giudizio, e perciò attribuisce al giudice il potere di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma "equitativamente determinata" a favore di quella vincente quando la decisione è fondata su ragioni, in fatto o in diritto, che siano "manifeste" (lettera a) e -solo in materia di appalti di cui agli artt. 119, lettera a) e 120 del codice del processo amministrativo- commina una vera e propria sanzione pecuniaria, potenzialmente altissima (lettera b). Recita l'art. 41 del d.l. 90/2014, come modificato dalla legge di conversione 114/2014:

"Art. 41  (Misure per il contrasto all'abuso del processo)

In vigore dal 19 agosto 2014

1.  All'articolo 26 dell'allegato 1 (Codice del processo amministrativo) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)  al comma 1, in fine, è aggiunto il seguente periodo: “In ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati.”;

b)  al comma 2, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Nelle controversie in materia di appalti di cui agli articoli 119, lettera a), e 120 l'importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all'uno per cento del valore del contratto, ove superiore al suddetto limite.”.

Quindi la novità è notevole, rispetto al previgente quadro per cui erano solo previsti:

- la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte vittoriosa (art. 91 cpc);

- la condanna alle spese per singoli atti in caso di violazione del dovere di lealtà e probità (art. 92 cpc);

- la condanna al risarcimento dei danni (sia in sentenza sia in provvedimento d'urgenza) quando sia mancata la normale prudenza (art. 96 cpc);

- la responsabilità contabile quando la pubblica amministrazione soccombente si sia difesa creando ostacoli solo per guadagnare tempo e rinviare l'adempimento di un dovere.

Ebbene, occorre certamente evitare che la giusta previsione, nel d.l. 90/2014, di una possibile condanna al pagamento alla controparte di una somma equitativamente determinata o al pagamento di una sanzione pecuniaria a carico della parte processuale che abbia commesso "abuso del processo", trascurando ragioni manifeste di soccombenza che consigliavano di non agire o di non resistere in giudizio, si risolva in pesanti esborsi a carico di pubbliche amministrazioni "processualmente temerarie".

Come fare?  Bisogna strutturare gli organici delle pubbliche amministrazioni in modo che un separato corpo di avvocati del libero Foro, con rapporto di impiego pubblico a part time ridotto (come quello introdotto con l. 662/1996, art. 1, commi da 56 a 65, e poi abrogato dalla leggina 339/03), assicuri la indispensabile professionalità legale interna (con sufficiente garanzia di autonomia dalla gerachia burocratica). Occorre assolutamente evitare che le pubbliche amministrazioni che non ricorrono alla Avvocatura generale dello Stato o non hanno già una efficiente Avvocatura interna possano candidamente affidarsi alla preparazione professionale "settoriale" di (interessati) avvocati esterni che consiglino di agire o di resistere in giudizio. La posta in palio, coll'art. 41 del d.l. 90/2014, è diventata alta: in materia di appalti fino all'1% del valore del contratto.

Già era scandaloso che le pubbliche amministrazioni si rivolgessero ad avvocati del libero Foro per consulenze sul cosa la legge consenta o imponga o vieti loro di fare. Ancor più scandaloso, e assolutamente da evitare, è che si giunga ora a far gravare sulle casse pubbliche le eventuali condanne a pagamento di somme, "equitativamente determinate", alla controparte vittoriosa o di sanzioni pecuniarie (potenzialmente altissime)  dal giudice amministrativo per responsabilità da "abuso del processo" da parte della pubblica amministrazione ricorrente o resistente (si legga, di Aurelio Laino, l'articolo intitolato “Sussiste il danno erariale anche per sanzioni pecuniarie a un ente pubblico da devolversi all'Erario”, in Diritto e pratica amministrativa, n. 4, 2014, pp. 81-84).

Innanzitutto bisognerebbe, nel convertire in legge il d.l. 90/2014, consentire (seguendo l'insegnamento della sentenza della Corte costituzionale 189/2001) il doppio lavoro (avvocato del libero Foro e impiegato pubblico a part time ridotto) ai dipendenti pubblici che -già a part time e già iscritti agli albi in forza dell'art. 1, commi 56 e ss. della l. 662/96- sono stati cancellati dagli albi forensi a causa della l. 339/03 e spesso sono ora tornati al full time, per una assurda presunzione di incompatibilità tra impiego pubblico a part time ridotto e professione forense (incompatibilità che, tra l'altro, è pure all'esame della Corte europea dei diritti dell'uomo). Inoltre, bisognerebbe affiancare a tali avvocati-part-time "ripescati", tanti nuovi colleghi avvocati, selezionati con concorso pubblico, da bandire presto, al quale dovrebbero essere ammessi non solo avvocati del libero Foro ma anche i tantissimi impiegati pubblici a full time che, essendo abilitati all'esercizio della professione forense, vogliano trasformare il loro contratto full time in un part time ridotto (tra il 30% e il 50%) ed essere iscritti negli albi forensi. Tutti gli avvocati part time delle pubbliche amministrazioni dovrebbero confluire in un ruolo separato, con indispensabili garanzie di indipendenza dalla gerarchia burocratica di inquadramento.

Il "ripescaggio" dei "vecchi avvocati part time" (quelli cancellati dagli albi in forza della l. 339/03) che son tornati al tempo pieno sarebbe una fonte di risparmio considerevole per le casse pubbliche. Pure considerevole sarebbe il risparmio che deriverebbe dalla possibilità di trasformazione del contratto di lavoro full time in un part time particolarmente ridotto che si riconoscesse ai tanti impiegati della pubblica amministrazione che sono abilitati all'esercizio della professione forense e che (come insegna Corte cost. 189/01) molto più utili sarebbero al datore di lavoro pubblico se potessero iscriversi negli albi forensi e contemporaneamente portare all'interno delle amministrazioni la professionalità vera.

Si consideri: il part time che nelle pubbliche amministrazioni si deve incentivare non è quello finalizzato solo a far risparmiare le amministrazioni nè quello teso a creare solo spazio per nuovi assunti. Da incentivare seriamente è, invece, il part time finalizzato a immettere nell'organico della pubblica amministrazione (che spende troppo in consulenze legali esterne con le quali, assurdamente, chiede ad avvocati del libero Foro di spiegarle quali sono le regole giuridiche del suo agire) professionalità legali vere, formate dalla quotidiana frequenza delle aule di giustizia e non da inutili corsi di formazione (che servono solo a far guadagnare qualcuno).

--- LA NECESSITA' DEL CAMBIAMENTO NEL SENSO DELLA APERTURA DEGLI ORGANICI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI AGLI AVVOCATI DEL LIBERO FORO. L'IMPORTANZA DELL'INSEGNAMENTO DELLA SENTENZA 189/2001 DELLA CORTE COSTITUZIONALE.

La Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo, con deliberazione n. 7 del 16 aprile 2014, afferma che quando le esigenze di consulenze esterne della Pubblica Amministrazione durano da troppi anni, la P.A. ha l'obbligo di ripensare e rimodulare i fabbisogni di personale in organico. Si legge, tra l'altro, nella deliberazione della Corte dei conti: "ove le esigenze dell’amministrazione siano qualificabili come perduranti, la giurisprudenza della Corte ha indicato che l’amministrazione stessa ha l’onere di trovare idonee soluzioni, in termini di programmazione dei fabbisogni di personale, nonché in termini di aggiornamento e formazione dei profili professionali interni (delib. 3/2014, 13/2013, 26/2012 e 24/2011). Conclusivamente, il Collegio ritiene che, non essendovi motivi per discostarsi dall’orientamento assunto in materia dalla Sezione, l’atto in esame, in quanto carente dei requisiti di temporaneità e straordinarietà della prestazione, non può essere ammesso al visto e alla registrazione."

E' evidente che istituire un ruolo separato dei dipendenti pubblici a part time che siano anche avvocati nel libero Foro sarebbe la maniera migliore per ovviare alle spese pazze per consulenze legali (spesso fasulle) di tante amministrazioni pubbliche. Toglierebbe di mezzo la scusa (spesso accampata da amministratori che vogliono favorire gli amici avvocati) che, data la carenza di specifiche professionalità legali nell'organico della pubblica amministrazione, non c'è alternativa all'affidamento esterno delle costose consulenze legali.  L'uovo di Colombo (vedasi Corte cost. 189/01) è il definitivo sdoganamento degli avvocati - dipendenti pubblici a part time.

Si parla tanto di anticorruzione. Sul tema mi pare che avevano ragione da vendere i professori Cassese, Pizzorno, e Arcidiacono quando (chiamati a comporre il c.d. “Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione”, istituito con decreto n. 211 del 30.9.1996 dall’allora Presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante) scrivevano: «Una delle ragioni principali della corruzione è la debolezza dell’Amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Essa costringe le Amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che riguardano l’opera di specialisti. Il rimedio ipotizzabile è che i professionisti dipendenti iscritti agli albi vanno organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le Amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza».

E per superare le prevedibili reazioni della corporazione degli avvocati alla reintroduzione della compatibilità tra professione di avvocato e impiego pubblico a part time ridotto si potrà replicare che:

a) nella crisi dell'Avvocatura è ottima prospettiva per tanti avvocati, oggi in grave difficoltà economica , quella di concorrere a far parte (come dipendente pubblico a part time ridotto) d'una nuova e propulsiva Avvocatura part time della pubblica amministrazione. Si consideri che gli avvocati con redditi bassi cominciano a cancellarsi dagli albi. Prima dell'entrata in vigore della riforma forense (legge 247/2012), che all'articolo 21 ha previsto l'iscrizione obbligatoria per tutti, i legali con redditi inferiori ai 10.300 euro e quindi non iscritti alla Cassa erano in 56 mila. A fine luglio 2014 erano già scesi 48 mila. Numeri ancora provvisori se si considera che, dal 21 agosto 2014, è partita l'attività di iscrizione d'ufficio da parte di Cassa Forense;

b) non è giustificabile una estensione delle incompatibilità oltre il limite della ragionevole preoccupazione della prevenzione di seri conflitti di interessi. Altrimenti, in nome della indipendenza dell'avvocato (necessaria nei limiti in cui è funzionale alla miglior difesa del cliente) e in nome della prevenzione dei conflitti di interessi, si realizza solo una regolazione "sproporzionata" e sostanzialmente corporativa e anticoncorrenziale, sia della professione di avvocato che della pubblica amministrazione.

Occorre riconoscere, in base all'esame del diritto positivo, che il Legislatore italiano reputa in via generale che gli avvocati in attività nel c.d. libero Foro possono e devono esser coinvolti a pieno nelle attività pubblicistiche, anche le più delicate, senza timore che ne possano derivare conflitti di interesse (o accaparramenti di clientela o, comunque, lesione del bene dell'autonomia e dell livello di indipendenza necessario per svolgere sia l'attività d'avvocato che quella pubblicistica) che non siano gestibili con ordinarie misure disciplinari adottabili dalla stessa pubblica amministrazione nei confronti del suo dipendente part time che sia anche avvocato, e/o adottabili dall'Ordine degli avvocati al quale l'avvocato part time sia iscritto.

La conferma più recente si trova nella regolamentazione posta dal decreto legge 69/2013 a prevenzione dei possibili conflitti di interesse dei giudici ausiliari di Corte d'appello. Essa dimostra una volta di più che l'utilizzazione di "avvocati-part-time" da parte delle pubbliche amministrazioni è addirittura fondamentale e non crea seri problemi di conflitti di interessi per il miglior andamento della pubblica amministrazione (persino per l'amministrazione della giustizia).

Di certo, inoltre, il generale quadro ordinamentale della professione forense è ispirato all'esigenza del minimo sacrificio delle opportunità professionali per un abilitato all'esercizio di quella professione.  Ricordo che fu il TAR Lazio, con ordinanza 10125 del 28/4/2004, a riconoscerlo espressamente. D'altro canto, per convincersene basta consultare la pagina di wikipedia dedicata all'Avvocato Guido Alpa, attuale Presidente del Consiglio Nazionale Forense (ente pubblico non economico che è nel contempo "legislatore" di settore quanto a deontologia forense, amministratore dagli ampissimi poteri <incrementati con legge 247/12> e giudice speciale della disciplina forense e della tenuta deli albi degli avvocati).  Egli, per quanto si legge nella pagina dedicatagli da wikipedia, oltre ad esere avvocato: è professore ordinario di diritto civile presso la facoltà di giurisprudenza della Università di Roma "Sapienza"; è membro del Consiglio Nazionale Forense dal 1995; è presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 2004;  il 14 aprile 2014 è stato nominato nel consiglio di amministrazione di una società abbastanza importante come "Finmeccanica". Tutte attività espletate nel pieno rispetto delle vigenti regole riguardanti le incompatibilità. Ma domandiamoci: se tutte queste cose può fare l'avvocato Presidente del Consiglio Nazionale Forense, è possibile continuare a dire (ignorando l'insegnamento della sentenza della Corte costituzionale 189/2001) che con la professione di avvocato è incompatibile qualsiasi rapporto di impiego pubblico a part time ridotto (così affermò la leggina corporativa 339/2003 e così ha ribadito la riforma della professione forense approvata con l. 247/2012, all'art. 18, lettera d)? Vogliamo aspettare che sia la Corte europea dei diritti dell'Uomo a condannare l'Italia per violazione dell'art. 14 e 8 della CEDU, stante l'evidente discriminazione ? La discriminazione oggi sussiste sotto un duplice aspetto: 1) sotto l'aspetto di discriminazione dei dipendenti pubblici a part time ridotto (novelli servi fisci, discriminati con norme liberticide) ai quali non è consentito di fare anche l'avvocato, mentre ciò è consentito a soggetti ben più potenti e dunque ben più a ragione destinatari di norme preventive di conflitti di interessi; 2) sotto l'aspetto di discriminazione degli avvocati rispetto a tutti gli altri professionisti regolamentati in Ordini professionali, ai quali è consentito accedere anche all'impiego pubblico a part time ridotto (art. 1, comma 56 e seguenti della l. 662/1996). C'è, dunque, una eccezione inspiegabile (che va rimossa subito) alla gran libertà di lavorare ANCHE COME AVVOCATO e alla gran libertà di lavorare ANCHE COME DIPENDENTE PUBBLICO A PART TIME RIDOTTO (tra il 30% e il 50% dell'orario pieno).

Se, tenendo a mente l'insegnamento di Costr Cost. 189/2001, si riflette sulla vicenda la cancellazione dagli albi forensi comminata dalla l. 339/03 nei confronti di soggetti che avevano avuto solo la colpa di fidarsi di quella motivatissima sentenza della Corte, essa risulta gravemente discriminatoria a fronte del trattamento privilegiato che è invece riservato a tutte le seguenti categorie di soggetti (che potremmo definire cumulativamente "avvocati stranamente compatibili") i quali sono ammessi a fare anche l'avvocato assieme all'altra loro attività: consiglieri del C.N.F., parlamentari, commissari di governo, giudici di pace, giudici onorari di tribunale, giudici tributari, giudici ausiliari di corte d'appello, vice procuratori onorari, professori universitari e altri insegnanti che risultino iscritti all'albo forense alla data di entrata in vigore della l. 247/12, amministratori (anche amministratori unici), consiglieri delegati e presidenti del consiglio di amministrazione di società a capitali interamente pubblico o di enti e consorzi pubblici. Risulta anche discriminatoria per il fatto che per un'altra ampia categoria di soggetti è stata confermata dall'art. 20 della l. 247/12 la compatibiltà con la professione d'avvocato (non comminandosi la loro cancellazione dagli albi) ed è stata solo prevista, per essi, una "sospensione dall'esercizio professionale" che però, comportando la permanenza dell'iscrizione all'albo consente agli interessati di restare soci di società di capitali tra avvocati e lucrarne reddito. Si tratta di soggetti di grande potere: gli avvocati che siano anche Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, Presidente del Consiglio dei ministri, ministri, viceministri, sottosegretari di Stato, presidenti di Giunta regionale, presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano, membri della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura, presidenti di provincia con più di un milione di abitanti, sindaci di comuni con più di 500.000 abitanti. COMMEMTARE E' DIFFICILE: MI VIENE DA DIRE "POVERA ITALIA".

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10) Basti considerare come la l. 247/2012 abbia salvato i "diritti quesiti" a rimanere iscritti agli albi forensi per altre categorie di soggetti che al pari degli impiegati pubblici a part time ridotto non posseggono gli innovativi requisiti di iscrizione stabiliti dalla medesima l. 247/2012. Il privilegio della salvaguardia dei "diritti quesiti" a permanere iscritti agli albi secondo le vecchie regole è stato concesso ad esempio agli insegnanti elementari e ai docenti e ricercatori universitari a tempo pieno (art. 65, comma 3, in relazione all'art. 19 l. 247/12), nonchè agli avvocati degli enti pubblici (art. 23 l. 247/12) già iscritti negli albi speciali. Solo costoro e non anche gli impiegati pubblici a part time devono "scampare" all'applicazione del "principio che raccomanda di evitare diversità di trattamento diffuse e indeterminate nel tempo, «non potendosi lasciare nell’ordinamento sine die una duplicità di discipline diverse e parallele per le stesse situazioni» (sentenza n. 378 del 1994)" ?

Non si vede come la Corte costituzionale abbia potuto ritenere che oggi, dopo l'entrata in vigore della l. 247/12, l'ordinamento italiano confermi ancora la "scelta normativa di carattere inderogabilmente ostativo sottesa alla legge n. 339 del 2003. Scelta inevitabilmente destinata a produrre effetti, proprio per la sua portata generale, anche sulle posizioni dei dipendenti pubblici part-time legittimamente trovatisi ad esercitare in concomitanza la professione di avvocati". Non si vede come la Corte costituzionale, investita -con ordinanza di rimessione del 24 marzo 2011 e dunque anteriore all'entrata in vigore della l. 247/12- di una verifica di costituzionalità della l. 339/03 in relazione all'art.  3 (oltre che in relazione agli artt. 4, 35 e 41) della Costituzione, nonché al principio di ragionevolezza, abbia potuto evitare di considerare che la "riforma forense" di cui alla l. 247/12 ha, per talune categorie e con esito discriminatorio nei confronti degli impiegati pubblici a part time ridotto, voluto proprio quel "risultato, giudicato certamente irragionevole, «di conservare “ad esaurimento” una riserva di [soggetti, non lavoratori pubblici part-time], contemporaneamente avvocati, all’interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona»". Evitando di trarre dalle scelte operate con l. 247/12 le dovute conseguenze in termini di ragionevolezza del sacrificio retroattivo imposto ai soli impiegati pubblici a part time ridotto, la Corte costituzionale ha disatteso quelle chiare esigenze di omogeneità di trattamento esaltate dalla sentenza della Corte n. 166 del 2012 (alla quale improvvidamente pure si richiama). Proprio perchè, come si legge nell'ordinanza 3/2014, "occorre "prevenire distorsioni come quella sopra paventata" e proprio perchè va "ribadito il principio che raccomanda di evitare diversità di trattamento diffuse e indeterminate nel tempo, «non potendosi lasciare nell’ordinamento sine die una duplicità di discipline diverse e parallele per le stesse situazioni» (sentenza n. 378 del 1994)", la Corte avrebbe dovuto almeno rinviare al giudice a quo per una nuova valutazione del dubbio di costituzionalità alla luce delle novità profonde introdotte dalla l. 247/12 nel senso d'un minor rigore per le incompatibilità di soggetti "affidati" per previgente normativa.

Semplicemente non è vera, infatti, (per quanto sopra detto con riguardo all'art. 65, comma 3, in relazione all'art. 19, e con riguardo all'art. 23 della l. 247/12) l'affermazione della Corte costituzionale per cui dopo la pronuncia di non fondatezza di cui alla sentenza 166/2012 "il quadro normativo di riferimento è rimasto sostanzialmente immutato". CONCLUSIONE: LA LUNGA VICENDA COSTITUZIONALE DELLA L. 339/03 NON E' ANCORA TERMINATA E LA CORTE DELLE LEGGI POTRA' ESSERE ANCORA CHIAMATA A GIUDICARLA, FORSE COL DECISIVO PUNGOLO D'UNA SENTENZA DI STRASBURGO.

CILIEGINA SULLA TORTA, IN TEMA DI DISCRIMINAZIONE DEGLI IMPIEGATI PUBBLICI A PART TIME, SARA' LA CENSURA DI VIOLAZIONE DELLA CEDU PERPETRATA DALL'ART. 18, LETTERA C, DELLA L. 247/12, NEL CONSENTIRE ASSURDAMENTE DI POTER ESERCITARE LA PROFESSIONE D'AVVOCATO A SOGGETTI BEN PIU' "PERICOLOSI" DEGLI IMPIEGATI PUBBLICI A PART TIME RIDOTTO E CIOE' AGLI AMMINISTRATORI DI ENTI E CONSORZI PUBBLICI O DI SOCIETA' A CAPITALE INTERAMENTE PUBBBICO !

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11) la prevenzione del conflitto d'interessi sia riconosciuto come uno dei principi basilari della professione forense.

Ritengo però debba aggiungersi che in tema di prevenzione del conflitto d'interessi  occorre verificare, secondo il c.d. "criterio di proporzionalità-adeguatezza della regolazione" (richiamato sempre più spesso in giurisprudenza) :

a) se le vigenti presunzioni di incompatibilità all'"esercizio della professione forense (che è sempre e comunque, per logica elementare che voglia riconoscere la necessità umana, un esercizio a part-time dell'avvocatura) siano tutte idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito di tutela dei consumatori (o, se si preferisce, dei clienti dell'avvocato) e la buona amministrazione della giustizia;

b) se alcuna delle vigenti presunzioni di incompatibilità all'esercizio della professione di avvocato vada oltre quanto necessario per il raggiungimento dello scopo, rivelandosi sproporzionata rispetto ad esso;

c) se ricorrano o meno ragioni imperative di interesse pubblico in grado di giustificare la restrizione della libera prestazione del servizio professionale di avvocato che dette presunzioni realizzano;

d) se le norme professionali relative all'esercizio della professione di avvocato e in particolare quelle di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità siano (o debbano essere strutturate in modo da essere) di per se sufficienti per raggiungere gli obiettivi che il vigente sistema di compatibilità-incompatibilità persegue attraverso presunzioni odiose di conflitti di interessi.

Le leggi devono rispondere ai requisiti di cui ai quattro punti sopra evidenziati, altrimenti sono incostituzionali per violazione dell'art. 117 della Costituzione che ormai recepisce il principio di concorrenza, nonchè per irragionevole compressioni di diritti fondamentali di libertà (parametri l'art. 3, 41, 35 Cost.).

Altrimenti per raggiungere un fine apprezzabile (anche se talvolta sbandierato dai titolari di interessi a mantenere la chiusura del mercato dei servizi professionali di avvocato) si realizza una inammissibile caccia alle streghe.

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12) La Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo, con deliberazione n. 7 del 16 aprile 2014, afferma che quando le esigenze di consulenze esterne della Pubblica Amministrazione durano da troppi anni, la P.A. ha l'obbligo di ripensare e rimodulare i fabbisogni di personale in organico. Si legge, tra l'altro, nella deliberazione della Corte dei conti: "ove le esigenze dell’amministrazione siano qualificabili come perduranti, la giurisprudenza della Corte ha indicato che l’amministrazione stessa ha l’onere di trovare idonee soluzioni, in termini di programmazione dei fabbisogni di personale, nonché in termini di aggiornamento e formazione dei profili professionali interni (delib. 3/2014, 13/2013, 26/2012 e 24/2011). Conclusivamente, il Collegio ritiene che, non essendovi motivi per discostarsi dall’orientamento assunto in materia dalla Sezione, l’atto in esame, in quanto carente dei requisiti di temporaneità e straordinarietà della prestazione, non può essere ammesso al visto e alla registrazione."

E' evidente che istituire un ruolo separato dei dipendenti pubblici a part time che siano anche avvocati nel libero Foro sarebbe la maniera migliore per ovviare alle spese pazze per consulenze legali (spesso fasulle) di tante amministrazioni pubbliche. Togierebbe di mezzo la scusa (spesso accampata da amministratori che vogliono favorire gli amici avvocati) che, data la carenza di specifiche professionalità legali nell'organico della pubblica amministrazione, non c'è alternativa all'affidamento esterno delle costose consulenze legali.  L'uovo di Colombo è il definitivo sdoganamento degli avvocati part time.

E per superare le prevedibili reazioni della corporazione degli avvocati si potrà replicare che: 1) nella crisi dell'Avvocatura è ottima prospettiva per tanti avvocati oggi in grave difficoltà economica quella di concorrere (a far parte (come dipendente pubblico a part time) d'una nuova e propulsiva AVVOCATURA PART TIME DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE; 2) avevano ragione i professori Cassese, Pizzorno, e Arcidiacono quando (chiamati a comporre il c.d. “Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione”, istituito con decreto n. 211 del 30.9.1996 dall’allora Presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante) scrivevano: «Una delle ragioni principali della corruzione -scrissero- è la debolezza dell’Amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Essa costringe le Amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che riguardano l’opera di specialisti. Il rimedio ipotizzabile è che i professionisti dipendenti iscritti agli albi vanno organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le Amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza».

Inoltre, si consideri che la regolamentazione posta dal decreto legge 69/2013 a prevenzione dei possibili conflitti di interesse dei giudici ausiliari di Corte d'appello dimostra una volta di più che, al fine del miglior andamento della pubblica amministrazione, il Legislatore italiano reputa in via generale che gli avvocati in attività possono e devono esser coinvolti a pieno nelle attività pubblicistiche, anche le più delicate, senza timore che ne possano derivare conflitti di interesse (o accaparramenti di clientela o, comunque, lesione del bene dell'autonomia e dell livello di indipendenza necessario per svolgere sia l'attività d'avvocato che quella pubblicistica) che non siano gestibili con ordinarie misure disciplinari adottabili dalla stessa pubblica amministrazione nei confronti del suo dipendente part time che sia anche avvocato, e/o adottabili dall'Ordine degli avvocati al quale l'avvocato part time è iscritto.

Fino ad oggi c'è una eccezione inspiegabile (che va rimossa subito) al generale quadro ordinamentale della professione forense, che è ispirato all'esigenza del minimo sacrificio delle opportunità professionali per un abilitato all'esercizio di quella professione (ricordo che fu il TAR Lazio, con ordinanza 10125 del 28/4/2004, a riconoscere espressamente tale il "quadro ordinamentale" della professione d'avvocato). Tale eccezione inspiegabile è quella dei semplici impiegati pubblici a part time ridotto, novelli servi fisci, discriminati a più riprese con norme liberticide, come risulta evidente se solo si legge la sentenza della Corte costituzionale n. 189/01.

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13) Quale sia la strada per una rivoluzione del pubblico impiego nel senso dell'efficienza (e della seria lotta alla corruzione dei pubblici poteri) lo scrissero a chiare note i professori Cassese, Pizzorno, e Arcidiacono, chiamati a comporre il c.d. “Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione”, istituito con decreto n. 211 del 30.9.1996 dall’allora Presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante. «Una delle ragioni principali della corruzione -scrissero- è la debolezza dell’Amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Essa costringe le Amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che riguardano l’opera di specialisti. Il rimedio ipotizzabile è che i professionisti dipendenti iscritti agli albi vanno organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le Amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza».

Occorre integrare e considerazioni dei professori  Cassese, Pizzorno e Arcidiacono con una necessaria differenziazione di trattamento delle professioni tecniche rispetto alle professioni giuridiche: per le professionalità giuridiche i ruoli delle amministrazioni devono esser rafforzati in maniera più decisa di quanto debba farsi per le professionalità tecniche. Infatti, se per le professionalità tecniche ha senso ricercare l'eccellanza "nel mercato" (magari designando a componenti delle commissioni aggiudicatrici degli appalti "giurie miste individuate dalla stazione appaltante in collaborazione con gli ordini professionali a seguito di pubblico sorteggio"), non ha senso, e non è tollerabile, che sulle regole giuridiche da applicare le amministrazioni pubbliche debbano chiedere consulenze all'esterno. Hanno, dunque, ragione coloro (tra i quali la Rete delle Professioni Tecniche, che in tal senso presenta un ampio documento sulla riforma degli appalti) che evidenziano che è anacronistica e ipocrita la norma che: 1) consente l'affidamento esterno di servizi ingeneristici a liberi professionisti o a società di ingegneria solo dopo aver dimostrato la carenza in organico di personale tecnico, o la speciale complessità o rilevanza architettonica o ambientale, oppure le difficoltà di rispettare i tempi della programmazione, oppure che si tratti di progetti integrati; 2) correlativamente impone alle pubbliche amministrazioni di affidare prioritariamente ai propri dipendenti la progettazione degli interventi.  Si deve concordare con il presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegnari, Armando Zambrano, per il quale "E' paradossale che l'amministrazione chieda ai liberi professionisti requisiti severissimi di fatturato, competenze, lavori svolti, dipendenti, licenze e poi affidi prioritariamente incarichi al proprio interno a qualcuno che non ha nessuno di questi requisiti" (vedasi l'articolo intitolato <<Basta affidare i progetti all'interno della PA>>, ne ilsole24ore del 7/5/2014).

Dunque, occorre consentire ai dipendenti pubblici a part time di fare, se abilitati, l'avvocato. Sussistono, infatti, motivi imperativi di interesse generale per reintrodurre nell'ordinamento la compatibilità tra impiego pubblico a part time ridotto e l'esercizio delle professione forense. Escludere i c.d. "avvocati-part-time" dalle pubbliche amministrazioni va contro ogni serio intento di riforma delle pubbliche amministrazioni: la funzionalità dei publici poteri deve essere incentivata con interventi che ridisegnino in primo luogo competenze e organigrammi nel segno della professionalità vera (come quella quotidianamente aggiornata dalla frequenza delle aule di giustizia). Si dovrebbe assicurare all'ente pubblico lo stabile consiglio dei suoi dipendenti abilitati all'esercizio della professione forense, ammettendo questi ultimi all'iscrizione all'albo professionale degli avvocati entro i limiti che Corte cost. 189/2001 ha ritenuto l' "uovo di Colombo" per conciliare risparmi notevoli per le pubbliche finanze, miglioramento delle capacità professionali dell'apparato pubblico, salvaguardia della libertà di lavoro professionale.

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14) Plerumque non accidit che l'avvocato part time sia pericoloso

Si legge a pag. 114 della relazione del Servizio studi della Corte costituzionale, del 27 febbraio 2014, intitolata "GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DELL’ANNO 2013": "Sulla ragionevolezza delle presunzioni legali, la sentenza n. 57 – confermando un ormai consolidato orientamento – ha riaffermato il generale principio in base al quale “le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie o irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzabili, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”, ribadendo anche che l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa...".

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15) Dal discorso del Presidente tedesco Joachim Gauck al Walter Eucken Institut, Friburgo, 16 gennaio 2014:

"Ad alcuni la necessità di plasmare liberamente la propria vita appare più un'imposizione che una fortuna. La libertà non presenta solo l'aspetto positivo di dischiudere possibilità prima precluse. La libertà ha anche l'effetto di dissolvere legami, di suscitare incertezza e paure. L'avvento della libertà è sempre accompagnato da grandi timori. Il suono stesso della parola "libertà" appare minaccioso a chi aspira non tanto all'apertura dei propri orizzonti, bensì alla prevedibilità e alla chiarezza. Vi è inoltre il continuo impulso a riaffermare la posizione raggiunta in relazione ai nostri simili. Molti non credono nella gara che decide la nostra esistenza, una gara che inizia a scuola e che ci accompagna non solo nella nostra vita professionale ed economica, ma anche nello sport, nell'arte, nella cultura. La democrazia non sarebbe concepibile nell'assenza di una competizione. Il nostro paese compete con altre nazioni non solo con la propria economia, ma anche con il suo modello di società.

Ma di fatto molti - troppi! - si trovano a disagio con il concetto stesso di concorrenza e di competizione. Se dobbiamo continuamente misurarci con gli altri, è possibile che ci troviamo più e più volte a venire sconfitti. Questo è il paradosso dell'ordine liberale: conosco molte persone che un tempo temevano l'idea di venire incarcerati, che cercavano e anelavano la libertà, ma che oggi la temono e che hanno addirittura paura di essere lasciati indietro. Si tratta di un sentimento umano e comprensibile, ma è necessario spiegare che la concorrenza è prima di tutto, se è giusta e aperta, una forza liberatrice. La concorrenza abbatte i privilegi tradizionali, le più radicate strutture di potere e in tal modo dischiude spazi per una partecipazione sempre più ampia. La concorrenza offre - anche in caso di fallimento - una seconda occasione, sempre nuove occasioni. E se è ben strutturata, è anche giusta ed equa.

L'ingiustizia prospera proprio laddove la concorrenza viene limitata: dal protezionismo, dalla corruzione o dalla benevola attenzione a interessi particolari imposta dallo Stato, quando ad esempio i seguaci di un determinato partito stabiliscono chi possa raggiungere una particolare posizione, o quando i ricchi e i potenti cambiano le regole a proprio favore e quindi assegnano arbitrariamente maggiori o minori probabilità di sopravvivere, ai partecipanti al gioco economico.

In definitiva, il grado di apertura di un determinato sistema economico si misura non solo da quello che si può acquistare nei negozi, ma dal fatto che esso riesca a offrire a tutti i cittadini l'opportunità di vivere una vita autonoma e indipendente e se offre realmente tutte le opzioni possibili."

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16) 15/1/2014: Corte dei conti su spese delle amministrazioni per collaborazioni, consulenze ecc...

Interessante relazione della Corte dei conti, Sezione controllo Regione Emilia Romagna, su spese delle pubbliche amministrazioni per collaborazioni, consulenze, studi e ricerche.

Dopo la ricostruzione del complesso e mutevole quadro normativo che regola la materia, la relazione si sofferma su:

"I vincoli sostanziali al conferimento degli incarichi professionali o di collaborazione;

La nuova disciplina degli incarichi professionali esterni affidati a dipendenti pubblici;

I vincoli finanziari al conferimento degli incarichi professionali o di collaborazione;

L’ulteriore evoluzione del quadro normativo. Il controllo preventivo di legittimità sugli atti di alcuni enti ai sensi dell’art. 17, commi 30 e 31, del d.l. n. 78 del 2009;

Gli orientamenti giurisprudenziali in materia di incarichi di studio e di consulenza".

Tra le irregolarità segnalate vi sono la carente motivazione in ordine all’insussistenza di professionalità interne e all’avvenuta comparazione tra i diversi aspiranti all’incarico. Pure è emersa la reiterazione degli incarichi attraverso un improprio ricorso alla proroga, nonché l’utilizzazione di contratti di collaborazione per dissimulare rapporti di lavoro dipendente. Viene segnalata, tra l’altro, l’esigenza di una revisione del quadro normativo, allo scopo di definire in modo univoco e preciso la differenza tra appalto di servizi e incarichi di consulenza, stante il persistere nel vigente quadro normativo di incertezze tra le due figure giuridiche, oggetto di difformi discipline procedurali e sostanziali.

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17) Incompatibilità forensi e liberalizzazioni: via tracciata da Corte Cost 200/12 e dal comma 2 dell'art. 1 del d.l. 1/2012.

E' importante il fatto che la Corte costituzionale, con sentenza 200 del 2012, abbia tracciato la strada della tutela d'una regolazione legislativa proporzionata delle attività economiche e abbia confermato la necessità della verifica di compatibilità delle leggi rispetto alla finalità di tutela (promozione) della concorrenza, sub specie di liberalizzazione. In Italia si configura ormai una protezione costituzionale del principio già sancito dall'art. 3, comma 5, del d.l. 138/2011 per cui gli ordinamenti professionali (compreso quello di avvocato) devono garantire che l'esercizio dell'attività e le regole d'accesso alla stessa rispondano senza eccezioni ai principi di libera concorrenza. Con riguardo, ad esempio, alla recente legge di "riforma forense" (l. 247/2012), numerose previsioni di quel provvedimento attengono alla materia della tutela della concorrenza, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett.e), della Costituzione.

Certo potranno arrivare numerose dichiarazioni di incostituzionalità ove non sia praticabile una interpretazione costituzionalmente orientata delle norma di legge sulla professione forense. Al riguardo è, perciò, importantissimo il comma 2 dell'art. 1 del d.l. 1/2012, per cui: "2.  Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica."

Un interessante articolo di Francesco Saitto, dal titolo "LA CORTE COSTITUZIONALE, LA TUTELA DELLA CONCORRENZA E IL «PRINCIPIO GENERALE DELLA LIBERALIZZAZIONE» TRA STATO E REGIONI", è pubblicato sulla rivista della Associazione dei costituzionalisti, N°: 4/2012. Questo il sommario: "1. Premessa: il mercato regolato e la concorrenza come problemi di ordine costituzionale; 2. Il «principio generale della liberalizzazione» tra l’art. 41 e l’art. 117, comma 2, lett. e) Cost.; 3. Le altre questioni affrontate dalla Corte e l’incostituzionalità della «soppressione automatica»; 4. Considerazioni conclusive: il mercato e la sent. n. 200 del 2012 alla luce della recente riforma dell’art. 81 Cost."...

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18) La Corte di giustizia, decidendo con sentenza del 6 settembre 2012 le cause C-422/11 P e C-423/11 P, ha dato una interpretazione rigorosa, e nel contempo non liberticida, della indipendenza essenziale allo svolgimento della professione forense innanzi ai giudici dell'Unione Europea.

Per un verso, ribadendo con rigore (punto 24) quanto già statuito al punto 45 della sentenza Akzo Chemicals e Akeros Chemicals / Commissione ha evidenziato che il concetto di indipendenza dell'avvocato implica mancanza di rapporto di impiego tra l'avvocato e il suo cliente (ma, nota bene, non anche una mancanza di rapporto di impiego con altro soggetto che non sia il cliente).

Per altro verso ha attuato il principio di proporzionalità -sancito all'art. 5, paragrafo 4, TUE- ed ha chiaramente ammesso (punto 44) che potrebbero rilevare, ove fossero dimostrate sussistenti, misure materiali e formali che possano "garantire l'indipendenza dell'avvocato allo stesso modo dell'assenza di qualsiasi rapporto di impiego tra quest'ultimo ed il suo cliente".

 

 

 

 

 

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Un pò di sincerità è pericolosa, molta sincerità è assolutamente esiziale (O. Wilde)