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LA NULLITA' DELLE SENTENZE DEL CNF PER MANCANZA DELLA QUALITA' DI GIUDICE IN QUELL'ENTE PUBBLICO NON ECONOMICO, CHE AI FINI DEL DIRITTO DELLA CONCORRENZA (U.E. E NAZIONALE) HA NATURA DI ASSOCIAZIONE DI IMPRESE. LA CORRELATA INCOSTITUZIONALITA' DELLA LEGGE PROFESSIONALE FORENSE DEL 1933 E DELLA LEGGE DI RIFORMA FORENSE (N. 247/2012), ANCHE PERCHE' REALIZZANO UNA "TUTELA GIURISDIZIONALE DEBOLE" DELL'AVVOCATO IN MATERIA DISCIPLINARE E DI TENUTA DEGLI ALBI FORENSI...
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Si legge nella sentenza n. 11833/2013 delle SS.UU. Civili della Cassazione, a pag. 12: "L'infondatezza della seconda censura [violazione del principio di terzietà del giudice, N.D.R.] deriva dal rilievo che il Consiglio Nazionale Forense, allorchè pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale istituito con D.Lgs. 23-11-1944 n. 382, e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione; le norme che lo concernono, nel disciplinare rispettivamente la nomina dei componenti del Consiglio Nazionale ed il procedimento che davanti al medesimo si svolge, assicurano -per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, dell'osservanza delle comuni regole processuali e dell'intervento del P.M.- il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo alla garanzia del diritto di difesa, all'indipendenza del giudice ed all'imparzialità dei giudizi; infatti l'indipendenza del giudice consiste nella autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza. Pertanto è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni sul procedimento disciplinare innanzi al predetto Consiglio Nazionale Forense, non potendo incidere sulla legittimità della detta normativa neanche la circostanza che al Consiglio spettino anche funzioni amministrative in quanto, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale, non è la mera coesistenza delle due funzioni a menomare l'indipendenza del giudice, bensì il fatto che le funzioni amministrative siano affidate all'organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, essendo in tale ipotesi immanente il rischio che il potere dell'organo superiore indirettamente si estenda anche alle funzioni giurisdizionali (Corte cost. sent. n. 284 del 1986; Cass. S.U. 3-5-2005 n. 9097)."
Analoghe affermazioni si leggono nelle sentenze "gemelle" delle SS.UU. depositate il 16 maggio 2013.
Di seguito si argomenta in senso contrario agli assunti delle sentenze del 16/5/2013 delle SS.UU. e per l'accoglimento del motivo decimo di ricorso dell'Avv. Maurizio Perelli. Si dimostra che le sentenze del CNF sono nulle per carenza di terzietà-imparzialità del giudice e che è incostituzionale la previsione di un CNF-giudice, nonchè il sistema di "tutela giurisdizionale debole" degli avvocati in tema di disciplina e tenuta degli albi.
Nell'ordinanza 24689/2010 con cui le SSUU Civili della Cassazione hanno sollevato q.l.c. della l. 339/03, provocando la sentenza della Corte costituzionale 166/2012, si escluse il vizio di radicale nullità della sentenza, con cui il CNF aveva confermato la cancellazione dall'albo dell’Avv. Maurizio Perelli. Tale vizio di nullità era stato prospettato per ritenuta mancanza in capo al CNF delle essenziali qualità di giudice.
In detta ordinanza di rimessione in Corte costituzionale hanno affermato le SSUU che la coesistenza delle due funzioni amministrativa e giurisdizionale in capo al medesimo soggetto CNF non menoma l'indipendenza del giudice speciale, essendo essa solo menomata nell'ipotesi, non ricorrente nella fattispecie, in cui le funzioni amministrative siano affidate all'organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, essendo in tale ipotesi immanente il rischio che il potere dell'organo superiore indirettamente si estenda anche alle funzioni giurisdizionali. Le SSUU, nell'ordinanza di rimessione 24689/2010, al riguardo richiamarono varie decisioni in tal senso della Corte costituzionale (la più recente è la n. 284/86) e della SS.UU. della Cassazione (la più recente è la n. 9097del 3/5/2005).
Lo stesso ragionamento viene riproposto dalle SS.UU. della Cassazione nella sentenza 11833/2013, richiamando le risalenti sentenze n. 284 del 1986 della Corte costituzionale e n. 9097 del 3/5/2005 delle SS.UU. della Cassazione.
Ebbene, si tratta di giurisprudenza che deve ormai ritenersi superata, a seguito degli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (vedasi, in particolare, la sentenza dell'11/7/2013 nel caso Morice c. Francia (application 29369) al punto 71 che richiama l'aafair Micallef c. Malta, e vedasi la sentenza del 27/9/2011 sul caso Menarini c. Italia, al punto 61), della Corte di Lussemburgo, delle stesse SS.UU. della Cassazione e anche a seguito della necessaria separazione soggettiva tra incaricati della gestione amministrativa della disciplina e incaricati della gestione amministrativa d'altri affari, sancita con DPR 137/2012, all'interno dei Consigli Nazionali di tutte le professioni "regolamentate" (separazione alla quale non può, di certo, farsi eccezione per la professione forense).
Inoltre, le argomentazioni riproposte da Cass. SS.UU. 11833/13 richiamando Corte cost. 284/86 e Cass., SS.UU. 9097/05 sono inconferenti perchè riferibili al solo concetto di indipendenza in senso stretto del giudice e non al (correlato ma autonomo) concetto di sua imparzialità, che al pari dell'indipendenza è connotato indefettibile del giudice.
Riassumo i dati normativi relativi alla costituzione del CNF secondo le regole anteriori alla l. 247/12 (non rileva, per decidere sul motivo decimo di ricorso alle SS.UU. dell'Avv. Maurizio Perelli, il novum che, in tema, prevede la l. 247/12, poichè trattasi di novità bisognose di regolamenti attuativi non ancora emanati, come rilevano pure le SS.UU. in sentenza 11833/2013).
Il CNF, secondo la disciplina anteriore alla L. 247/12, è formato da tanti membri quanti sono i distretti di Corte d'appello (art. 1, D.Lgs. P. 21/6/1946, n. 6, che ha modificato il primo comma dell'art. 21 del D.Lgs. 23/11/1944, n. 382).
Gli avvocati degli ordini del distretto eleggono il componente del CNF tra gli avvocati degli ordini del distretto iscritti all'albo degli abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori (art. 21, comma 1, D.Lgs. Lgt. 23/11/1944, n. 382).
I componenti del CNF restano in carica tre anni (art. 13, ult. comma, D.Lgs. Lgt. 23/11/1944, n. 382) e sono rieleggibili (art. 15, comma 1, D.Lgs. Lgt. 23/11/1944, n. 382).
Per l'elezione del CNF, a ciascun consiglio dell'ordine territoriale spetta un voto per ogni cento iscritti o frazione di cento, fino a duecento iscritti; un voto ogni duecento iscritti fino a seicento iscritti; un voto ogni trecento iscritti da seicento iscritti in poi (art. 11, D.Lgs. Lgt. 23/11/1944, n. 382).
In caso di parità di voti l'art. 11 richiama l'art. 5 per cui è preferito il candidato più anziano per iscrizione nell'albo dei cassazionisti (vedasi Cons. Stato, n. 741/1971) e tra coloro che abbiano pari anzianità di iscrizione il maggiore di età (art. 11, D.Lgs. 23/11/1944, n. 382).
Nella legge professionale forense del 1933 non si prevede affatto una ripartizione delle funzioni disciplinari ed amministrative fra i consiglieri del Consiglio Nazionale Forense (lo stesso potrà, eventualmente, evidenziarsi a critica della l. 247/12). Nemmeno si prevede, nella legge del 1933, che una tale separatezza soggettiva di compiti sia necessariamente stabilita con un successivo regolamento.
Ebbene, è incostituzionale (perchè non garantisce il livello essenziale di terzietà del giudice speciale CNF) non prevedere -nell'attribuire all'unitario CNF sia funzioni amministrative sia funzioni giurisdizionali- che i membri del CNF debbano essere soggettivamente distinti in due gruppi: quelli che svolgono solo le funzioni amministrative del CNF, da una parte, e quelli che svolgono solo le funzioni giurisdizionali del CNF, dall'altra. E' incostituzionale la promiscuità di ruoli, di natura amministrativa e giurisdizionale, che i singoli consiglieri del CNF rivestiono.
Si segnala che tale effettiva promiscuità di ruoli è stata riconosciuta sussistente anche in giurisprudenza (da ultimo, con riferimento alla disciplina anteriore alla l. 247/12, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 325/2012, depositata l'8/10/2012, in tema di debenza, da parte degli avvocati non cassazionisti, del contributo al CNF per il funzionamento del medesimo come giudice e come amministratore. Scrive, infatti, la Commissione tributaria: "... l'ammontare dei contributi da corrispondere al CNF non risultano in alcun modo determinati dalla legge, né determinabili in base a parametri tecnici, né è dato ricavarne indicazioni dal costo del servizio che, per quanto attiene a quello svolto dal CNF, è un servizio indivisibile").
E' evidente che, a garanzia dell'indipendenza, autonomia, terzietà e soprattutto imparzialità del giudice speciale C.N.F., sarebbe stato essenziale prevedere proprio con la legge che disciplina nel suo complesso l'ordinamento forense, una tale separatezza soggettiva, con l'individuazione dei soggetti chiamati a svolgere solo la funzione giurisdizionale e altri soggetti chiamati a svolgere solo le (molteplici e di grande portata economica) attività amministrative attribuite CNF. Tali attività amministrative possono generare in concreto dei gravissimi conflitti di interesse, capaci di minare l'imparzialità essenziale a qualunque soggetto voglia definirsi "giudice", o almeno possono farli sospettare sussistenti.
Occorre sottolineare, a conferma del rilevato vizio di costituzionalità, che il DPR 137/2012, di riforma di tutte le professioni regolamentate (e col quale, si noti incidentalmente, anche la legge di riforma della professione forense si sarebbe dovuta coordinare, riconoscendo la "specialità" ma non certo disegnando l' "eccezionalità" della regolazione della professione forense), all'art. 8, comma 8, ribadisce addirittura per i consiglieri dei Consigli Nazionali non giurisdizionali di tutte le professioni ordinistiche l'incompatibilità tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari. Dispone, in particolare, il citato comma 8 dell'art. 8 del DPR 137/2012: "I consiglieri dei consigli nazionali dell'ordine o collegio che esercitano funzioni disciplinari non possono esercitare funzioni amministrative. Per la ripartizione delle funzioni disciplinari e ammnistrative tra i consiglieri, in applicazione di quanto disposto al periodo che precede, i consigli nazionali dell'ordine o collegio adottano regolamenti attuativi, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, previo parere favorevole del ministro vigilante".
Come esempio di normazione attuativa si veda il "Regolamento che disciplina i criteri per la ripartizione delle funzioni disciplinari ed amministrative tra i Consiglieri del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ai sensi di quanto previsto dall'art. 8, comma 8, del DPR 7 agosto 2012, n. 137", pubblicato sul bollettino ufficiale del ministero della giustizia n. 9 del 15 maggio 2013. Vi si leggono disposizioni essenziali per garantire la terzietà del soggetto legittimato ad irrogare sanzioni disciplinari pur senza esser qualificato giudice (come invece è qualificato il CNF che le medesime garanzie di terzietà, indipendenza e imparzialità non offre). In particolare, all'art. 2, comma 3, il citato regolamento relativo alla professione di commercialista prevede: "I componenti del Consiglio di disciplina Nazionale che esercitano funzioni disciplinari non possono svolgere funzioni amministrative"; all'art. 4, comma 6, prevede addirittura: "Le riunioni del Consiglio di disciplina hanno luogo separatamente da quelle dei membri del Consiglio Nazionale che svolgono funzioni amministrative e si tengono ordinariamente presso la sede del Consiglio Nazionale"; all'art. 4, comma 9, prevede: "Il Consiglio di Disciplina Nazionale opera in piena indipendenza di giudizio ed autonomia organizzativa, nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge e regolamentari relative al procedimento disciplinare".
Occorre pure ricordare che il Consiglio di Stato, con parere 3169/2012 (reso sullo schema di D.P.R. di riforma di tutte le professioni regolamentate, poi divenuto DPR 137/2012), ha chiarito che è urgente per tutti i giudici speciali (compreso dunque il giudice speciale CNF) l’introduzione di garanzie di terzietà, attraverso la differenziazione soggettiva tra persone fisiche titolari del potere amministrativo e persone fisiche titolari del potere giurisdizionale in materia di disciplina. Ha, in particolare, raccomandato il Consiglio di Stato al Governo di "intraprendere successivamente le idonee iniziative legislative per attuare i principi della riforma anche con riferimento alla composizione dei consigli nazionali con natura giurisdizionale". Con ciò il Consiglio di Stato ha evidenziato al Governo l’urgenza di intervenire in via legislativa perchè (se proprio non si vuole abbandonare la c.d. "giurisdizione domestica" del CNF e degli altri Consigli Nazionali delle professioni che sono anche giudici speciali, chioserei) il "trattamento giurisdizionale" della disciplina e della tenuta degli albi non può certo essere meno garantista del "trattamento amministrativo" della disciplina (quello che la legge di riforma forense -l. 247/12- programma di realizzare innanzi a organi separati di disciplina: i c.d. Consigli distrettuali di disciplina).
Ebbene, quelle che il Consiglio di Stato ritiene debbano esser introdotte per il funzionamento dei Consigli Nazionali di tutte le professioni ordinistiche sono garanzie di terzietà e di imparzialità che il giudice speciale CNF (che ha emesso la sentenza impugnata dall'Avv. Maurizio Perelli) evidentemente non possiede, in conseguenza delle molteplici attribuzioni giurisdizionali e amministrative che "unitariamente" il medesimo CNF esercita. Sono garanzie essenziali alla funzione giurisdizionale e la loro mancanza integra gravissima e evidentissima nullità della sentenza impugnata e incostituzionalità della norma che attribuisce al CNF la giurisdizione sui provvedimenti di tenuta degli albi (quale quello impugnato dal ricorrente), per violazione dell'art. 111, comma 2, della Costituzione.
Evidentemente il Consiglio di Stato non solo ha ben presenti i gravi rischi che comporta l'organizzazione corporativa delle professioni e, per quanto ci occupa, i rischi di una "tutela debole" dell'avvocato innanzi a suoi colleghi: il Consiglio di Stato mostra d'esser consapevole di come tali rischi siano aggravati dalla attribuzione congiunta, alle medesime persone fisiche, sia delle funzioni di membri del collegio giudicante, sia di funzioni di amministrazione attiva che si eserciti sul "corpo vivo" dei professionisti e cioè sulla generalità dei possibili soggetti giudicati da un giudice speciale che eserciti "giurisdizione domestica".
Dalla disciplina vigente in tema di tutela giurisdizionale dell'avvocato avverso le sanzioni disciplinari e avverso i provvedimenti in materia di iscrizione agli albi forensi (compresa la cancellazione dall'albo) risulta una "tutela debole" dell'avvocato, il quale solo innanzi al giudice speciale C.N.F. -senza giudizio d'appello e con limitati spazi per il ricorso in Cassazione (vedi Cass. 19705/1202)- può far valere argomenti fondamentali a sua difesa. Quel che è più grave, però, è che l'unico grado di giudizio che precede (in materia di disciplina degli avvocati e di tenuta degli albi forensi, compresa la cancellazione dall'albo) l'intervento delle Sezioni Unite Civili della Cassazione si svolge innanzi a un giudice speciale della cui terzietà si può fondatamente dubitare: il C.N.F., appunto.
MA NON BASTA.
Affermazioni importantissime in tema di livelli minimi di terzietà, indipendenza e imparzialità del giudice speciale si leggono nella ordinanza n. 6529 del 17/3/2010 delle Sezioni Unite della Cassazione, che si incentra sull'analisi di costituzionalità delle previsioni normative che istituiscono giudici estranei al novero dei "giudici comuni" (ordinari e amministrativi).
Il percorso argomentativo delle Sezioni Unite si svolge alla luce dei criteri di costituzionalità, integrati dalle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 6 par. 1), quali interpretate dalla Corte di Strasburgo (secondo il procedimento di ingresso nell'ordinamento nazionale precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 348 del 2007).
Ebbene, le affermazioni della ordinanza 6529/10 della Cassazione non potranno non determinare (anche) il disconoscimento della natura di giudice nei confronti dei residui giudici speciali della c.d. "giustizia domestica" delle professioni (anche il Consiglio Nazionale Forense che ha emesso la sentenza che ci occupa, per come è disegnato quanto a costituzione e attribuzioni dalla legge professionale del 1933 e, nella sostanza, confermata dalla l. 247/12).
Le Sezioni Unite, nell'ordinanza 6529/2010, hanno riconosciuto fondamento costituzionale indiretto al potere della Presidenza della Repubblica di riservare, mediante regolamento, alla propria cognizione interna le controversie di impiego del personale, e -valorizzando, sulla base della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la precostituzione, l'imparzialità e l'indipendenza assicurata, dai regolamenti del 1996, ai collegi previsti per la risoluzione delle suddette controversie- hanno dichiarato la carenza assoluta di giurisdizione del giudice amministrativo (nella fattispecie TAR del Lazio).
L'argomentazione dell'ordinanza 6529/2010 risulta, come dicevo, fondamentale anche in relazione a tema totalmente diverso rispetto alla fattispecie concreta decisa dalle Sezioni Unite con ordinanza 6529/10: risulta, cioè, fondamentale per negare natura di autentico giudice ai residui giudici speciali della disciplina e della tenuta degli albi professionali (in primis il Consiglio Nazionale Forense).
Ciò perchè, non è certamente possibile riconoscere in tali giudici speciali le caratteristiche di imparzialità e indipendenza-terzietà che le Sezioni Unite individuano essenziali e presenti nei collegi istituiti per la soluzione delle controvesie sui rapporti di lavoro instaurati con la Presidenza della Repubblica.
In sintesi si potrà argomentare sulla base dell'ordinanza 6529/2010 delle SS.UU.:
-
non è sufficiente che un Organo costituzionale come la Presidenza della Repubblica, la cui autodichia ha fondamento costituzionale (anche se indiretto, come insegnano le SS.UU.), rivendichi una qualche potestà giurisdizionale perchè esso possa esser considerato senz'altro legittimato costituzionalmente quale giudice. Malgrado l'insindacabilità degli interna corporis degli organi costituzionali, deve ritenersi doverosa la verifica del fondamento costituzionale di una forma di giurisdizione che inevitabilmente decurta il potere decisorio della giurisdizione comune. Inoltre, la giurisdizione in questione potrà ritenersi "idonea" solo se non offra "tutela debole" in riferimento agli art. 2, primo comma, e 3 della Costituzione: solo se, in particolare, sia riconoscibile come imparziale e indipendente (oltre che precostituita);
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se è vero quanto detto al punto 1), deve convenirsi che, considerata la centralità della giurisdizione comune non speciale, non possono più esser riconosciuti "giudici" i Consigli Nazionali delle varie professioni che ancora residuano quali "giudici speciali" delle professioni (in primis il C.N.F.). Essi non sono certo Organi costituzionali e perciò non possono vedersi riconosciute prerogative giurisdizionali che si vogliano derivare (come per l'autodichia di organi costituzionali quali le Camere e il Presidente della Repubblica) dall'esigenza costituzionale di garantirne l'autonomia e indipendenza come "organi". Essi giudici speciali delle professioni (in primis il C.N.F.) non hanno, pertanto, in virtù della sesta disposizione transitoria della Costituzione, una attribuzione giurisdizionale che possa ritenersi prevalente su indiscutibili vizi di costituzionalità emergenti (innanzi tutto, ma non solo) dal parametro di cui all' art. 111 della Costituzione, come modificato.
Con riguardo, in particolare, al CNF, autore della sentenza impugnata dall'Avv. Maurizio Perelli:
primo vizio di costituzionalità della norma che gli attribuisce giurisdizione in materia di tenuta degli albi è, alla luce della richiamata ordinanza 6529/2010 delle SS.UU, la carenza d'indipendenza e imparzialità-terzietà del CNF rispetto ad alcuni soggetti, e cioè rispetto ai Consigli degli Ordini (e persino rispetto ai singoli avvocati iscritti presso i vari Consigli degli Ordini), che con elezioni scelgono i componenti del giudice speciale e che sono, ciònondimeno, parti (e sempre lo sono potenzialmente) innanzi al giudice speciale (da essi eletto) nei giudizi sui provvedimenti in tema di disciplina e di tenuta degli albi (compresa la cancellazione dall'albo, quale quella comminata all'Avv. Maurizio Perelli);
secondo vizio di costituzionalità è la carenza di una garanzia di professionalità nell'esercizio della giurisdizione poichè gli eletti a membri del giudice speciale CNF sono avvocati che in nessun modo debbono aver dato prova di capacità tecnica d'esercitare la giurisdizione ma debbono semplicemente risultare i prescelti in votazioni che per nulla debbono considerare la specifica capacità all'esercizio della giurisdizione;
terzo vizio di costituzionalità è l'esercizio, nelle stesse materie, delle tre non accorpabili attribuzioni di legislatore (come autore del codice deontologico), amministratore in ordine alle più rilevanti questioni dell'intera Avvocatura italiana e giudice speciale.
Per i giudici speciali della disciplina e della tenuta degli albi dei professionisti (in primis il C.N.F.) deve valere a pieno (più che per organi costituzionali quali le Camere o il Presidente della Repubblica, per i quali comunque l'autodichia, pur se è ammessa da Corte costituzionale e Corte di Strasburgo, incontra il vaglio necessario della compatibilità col sistema di tutele disegnato dalla Costituzione, come insegna l'ordinanza della Cassazione 6529/2010) il rigore col quale l'ordinamento garantisce l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici (anche attraverso le regole relative alla selezione di essi, non esclusa la determinazione dei loro requisiti professionali. Vedasi, su www.associazionedeicostituzionalisti.it , l'articolo di Roberto Bin dal titolo "Sull'imparzialità dei giudici costituzionali", paragrafo 4, http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dottrina/giustizia_costituzionale/Bin01.pdf ).
Si evidenzia, infatti, come nella sentenza n. 60 del 3 aprile 1969, la Corte costituzionale abbia affermato: "L'indipendenza è voluta dal costituente anche per i giudici speciali in vista della completa attuazione del precetto, comune ad essi e ai magistrati ordinari, che li vuole soggetti soltanto alla legge. Il principio dell'indipendenza è volto ad assicurare l'imparzialità del giudice o meglio, come è stato accennato, l'esclusione di ogni pericolo di parzialità, onde sia assicurata al giudice una posizione assolutamente super partes. Va escluso nel giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere".
Come sostiene Nicola Occhiocupo in un articolo dal titolo "Alla ricerca di un giudice: a Berlino, ieri; a Strasburgo, oggi; a Lussemburgo e a Roma, domani, forse", pubblicato nella rivista Il diritto dell'Unione Europea (inoltre, dello stesso autore vedasi "Costituzione, persona umana, mercato concorrenziale" nel n. 0 del 2/7/2010 della rivista telematica dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti), "si tratta di connotati essenziali, che ineriscono la funzione giurisdizionale, ricavati dai principi costituzionali, espressi e inespressi, fortemente consolidati a livello dottrinale, cui la Corte costituzionale, sin dai primi tempi, della sua attività ha cercato di dare effettività, in mezzo a difficoltà molteplici, al fine di definire il "modello" di giurisdizione presente nella legge fondamentale, anche attraverso un'opera di eliminazione della folta boscaglia di giurisdizioni speciali, nate nel passato, di cui la Costituzione, all'art. 102, fa espresso divieto". Evidenzia ancora Occhiocupo che il diritto fondamentale della tutela giurisdizionale "trova ormai riconoscimento e garanzia, oltre che nelle Costituzioni dei paesi membri dell'Unione e nella Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, negli articoli 8 e 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, del 10 dicembre 1948, nell'articolo 14, n. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 19 dicembre 1966, nell'ordinamento comunitario, ad opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia, ed ora nell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000. E' vero che l'art. 47 non sembra presentare profili particolarmente innovativi, rispetto a quanto consacrato nella Costituzione italiana, nelle altre Costituzioni europee e negli orientamenti consolidati di estrazione giurisprudenziale. E' altrettanto vero, però, che esso trovasi nel capo VI, dedicato alla "giustizia", rubricato come "diritto a un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale" , volendo statuire, tra l'altro, il principio di effettività del ricorso: "Ogni individuo ha diritto -recita il secondo comma- a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge". E' appena il caso di ricordare, inoltre, che la Corte di giustizia ha sancito questo diritto quale principio giuridico generale dell'ordinamento dell'Unione Europea: (Corte di giustizia, sentenza 15 maggio 1986, 1.222/84, Marguerite Johnston, in Raccolta, 1986, 1651 ss.)" .
Si evidenzia pure che la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza del 24 maggio 2011 sul ricorso n. 26218/06, Onorato contro Italia, ha chiarito il contenuto minimo del diritto di accesso a un tribunale terzo, sancito dall'art. 6, § 1, CEDU, scrivendo al punto 47: "La Corte ricorda che questo diritto non è assoluto, ma può dare luogo a delle limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia tali restrizioni non posono limitare l'accesso aperto all'individuo in modo tale o a tal punto che il diritto ne venga compromesso nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse si conciliano con l'art. 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v. Kart c. Turchia [GC], n. 8917/05, §§ 79-80, 3 dicembre 2009)."
Sempre della Corte di Strasburgo si ricorda la sentenza sul caso Menarini, del 27/9/2011: la Corte, al punto 61 della sentenza, ricorda che solo un organo dotato di piena giurisdizione merita l'appellativo di "tribunale" ai sensi dell'art. 6 & 1 CEDU, dovendo rispondere ad una serie di requisiti quali l'indipendenza, non solo rispetto al potere esecutivo ma anche rispetto alle parti interessate.
Infine, a dimostrare la necessità di modificare l'indirizzo espresso, in tema di imparzialità del CNF, nella sentenza delle sezioni unite 11833/13 e sentenze "gemelle" del 16/5/2013, valga la recentissima sentenza, dell'11/7/2013, della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Morice c. Francia (application n. 29369/10). Rileva anche in relazione all'incostituzionalità della qualicazione del CNF come giudice in relazione all'art. 117, comma 1, Cost. e al paramentro interposto di costituzionalità costituito dalla giurisprudenza di Strasburgo.
La sentenza sul caso Morice c. Francia è importante perchè riconosce che, nella fattispecie, la composizione del giudice nazionale poteva suscitare dubbi sulla imparzialità del medesimo giudice e ciò integra violazione dell'art. 6 & 1 CEDU (right to a fair trial). Analoghe conclusioi si impongono quanto al sospetto di carenza di imparzialità del CNF.
Della sentenza sul caso Morice c. Francia va evidenziato il richiamo ai principi espressi nella giurisprudenza di Strasburgo in tema di imparzialità del giudice. Si legge al punto 71:
"2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
71. Les principes se dégageant de la jurisprudence en la matière ont été résumés par la Cour comme suit dans l’affaire Micallef c. Malte ([GC], no 17056/06, CEDH 2009).
« 93. L’impartialité se définit d’ordinaire par l’absence de préjugé ou de parti pris et peut s’apprécier de diverses manières. Selon la jurisprudence constante de la Cour, aux fins de l’article 6 § 1, l’impartialité doit s’apprécier selon une démarche subjective, en tenant compte de la conviction personnelle et du comportement de tel juge, c’est-à-dire du point de savoir si celui-ci a fait preuve de parti pris ou préjugé personnel dans tel cas, et aussi selon une démarche objective consistant à déterminer si le tribunal offrait, notamment à travers sa composition, des garanties suffisantes pour exclure tout doute légitime quant à son impartialité (voir, entre autres, Fey c. Autriche, 24 février 1993, §§ 27, 28 et 30, série A no 255-A, et Wettstein c. Suisse, no 33958/96, § 42, CEDH 2000-XII).
94. Pour ce qui est de la démarche subjective, le principe selon lequel un tribunal doit être présumé exempt de préjugé ou de partialité est depuis longtemps établi dans la jurisprudence de la Cour (voir, par exemple, Kyprianou c. Chypre [GC], no 73797/01, § 119, CEDH 2005-XIII). La Cour a dit que l’impartialité personnelle d’un magistrat se présume jusqu’à preuve du contraire (Wettstein, précité, § 43). Quant au type de preuve exigé, la Cour s’est par exemple efforcée de vérifier si un juge avait témoigné d’hostilité ou de malveillance pour des raisons personnelles (De Cubber c. Belgique, 26 octobre 1984, § 25, série A no 86).
95. Dans la très grande majorité des affaires soulevant des questions relatives à l’impartialité, la Cour a eu recours à la démarche objective. La frontière entre l’impartialité subjective et l’impartialité objective n’est cependant pas hermétique car non seulement la conduite même d’un juge peut, du point de vue d’un observateur extérieur, entraîner des doutes objectivement justifiés quant à son impartialité
ARRÊT MORICE c. FRANCE 17
(démarche objective) mais elle peut également toucher à la question de sa conviction personnelle (démarche subjective) (Kyprianou, précité, . Ainsi, dans des cas o il peut être di icile de ournir des preuves permettant de ré uter la présomption d’impartialité subjective du juge, la condition d’impartialité o jective ournit une garantie importante de plus (Pullar c. Royaume-Uni, 10 juin 1996, § 32, Recueil 1996-III).
96. Pour ce qui est de l’appréciation objective, elle consiste à se demander si, indépendamment de la conduite personnelle du juge, certains faits vérifiables autorisent à suspecter l’impartialité de ce dernier. Il en résulte que, pour se prononcer sur l’existence, dans une affaire donnée, d’une raison légitime de redouter d’un juge ou d’une juridiction collégiale un défaut d’impartialité, l’optique de la personne concernée entre en ligne de compte mais ne joue pas un rôle décisif. L’élément déterminant consiste à savoir si l’on peut considérer les appréhensions de l’intéressé comme objectivement justifiées (Wettstein, précité, § 44, et Ferrantelli et Santangelo c. Italie, 7 août 1996, § 58, Recueil 1996-III).
97. L’appréciation objective porte essentiellement sur les liens hiérarchiques ou autres entre le juge et d’autres acteurs de la procédure (voir les affaires de cours martiales, par exemple Miller et autres c. Royaume-Uni, nos 45825/99, 45826/99 et 45827/99, 26 octobre 2004 ; voir aussi les affaires ayant trait à la double fonction du juge, par exemple Mežnari? c. Croatie, no 71615/01, § 36, 15 juillet 2005, et Wettstein, précité, § 47, où l’avocat qui avait représenté les adversaires du requérant a ensuite jugé l’intéressé dans le cadre respectivement d’une même procédure et de procédures concomitantes) ; pareille situation justifiait objectivement des doutes quant à l’impartialité du tribunal et ne satisfaisait donc pas à la norme de la Convention en matière d’impartialité objective (Kyprianou, précité, § 121). Il faut en conséquence décider dans chaque cas d’espèce si la nature et le degré du lien en question sont tels qu’ils dénotent un manque d’impartialité de la part du tribunal (Pullar, précité, § 38).
98. En la matière, même les apparences peuvent revêtir de l’importance ou, comme le dit un adage anglais « justice must not only be done, it must also be seen to be done » (il faut non seulement que justice soit faite, mais aussi qu’elle le soit au vu et au su de tous) (De Cubber, précité, § 26). Il y va de la confiance que les tribunaux d’une société démocratique se doivent d’inspirer aux justiciables. Doit donc se déporter tout juge dont on peut légitimement craindre un manque d’impartialité (Castillo Algar c. Espagne, 28 octobre 1998, § 45, Recueil 1998-VIII). »"
Si vedano, altresì, le sentenze n. 20, 21 e 23 del TAR Trento del 15/1/2009, nelle quali, nel dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai rispettivi ricorrenti in relazione alla composizione del TAR stesso per violazione dell’art. 6 CEDU, si è però confermato, con richiamo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che è imprescindibile che l’organo giudicante abbia piena giurisdizione e che operi con precise garanzie di indipendenza.
Vedasi pure Consiglio di Stato, Sez. IV, decisione 1220/2010, depositata il 2/3/2010, per cui si deve "fare applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009). Per la pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CEDU, Sez. III, 28-9-2006, Prisyazhnikova c. Russia, § 23; CEDU, 15-2-2006, Androsov-Russia, § 51; CEDU, 27-12-2005, Iza c. Georgia, § 42; CEDU, Sez. II, 30-11-2005, Mykhaylenky c. Ucraina, § 51; CEDU, Sez. IV, 15-9-2004, Luntre c. Moldova, § 32), gli artt. 6 e 13 impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the domestic remedies must be effective’. In base ad un principio applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006, Cherginets c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 20-12-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50)".
E cosa dispone il diritto dell'Unione europea in tema di giurisdizione speciale "domestica"?
Importante è la sentenza della Corte di giustizia (Terza Sezione) 19 dicembre 2012, resa nella causa C-363/11, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
«Rinvio pregiudiziale – Nozione di “organo giurisdizionale di uno degli Stati membri” ai sensi dell’articolo 267 TFUE – Procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale – Corte dei conti nazionale che decide sull’autorizzazione preventiva di una spesa pubblica – Irricevibilità»
Vi si legge:
"18 Secondo una giurisprudenza costante, per valutare se l’organo remittente possiede le caratteristiche di un «organo giurisdizionale» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, questione unicamente di diritto dell’Unione, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenze del 17 settembre 1997, Dorsch Consult, C 54/96, Racc. pag. I 4961, punto 23; del 31 maggio 2005, Syfait e a., C 53/03, Racc. pag. I 4609, punto 29, e del 14 giugno 2007, Häupl, C 246/05, Racc. pag. I 4673, punto 16, nonché ordinanza del 14 maggio 2008, Pilato, C 109/07, Racc. pag. I 3503, punto 22).
20 Peraltro, conformemente alla costante giurisprudenza, la nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica innanzi tutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso (sentenze del 30 marzo 1993, Corbiau, C 24/92, Racc. pag. I 1277, punto 15, e del 19 settembre 2006, Wilson, C 506/04, Racc. pag. I 8613, punto 49).
21 ...... L’autorità dinanzi alla quale viene proposto un ricorso avverso una decisione adottata dai servizi di un’amministrazione non può essere considerata in posizione di terzietà rispetto a tali servizi, e dunque un organo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, quando presenta un rapporto organico con la detta amministrazione (v., in tal senso, sentenze Corbiau, cit., punto 16, e del 30 maggio 2002, Schmid, C 516/99, Racc. pag. I 4573, punto 37)".
E quale "rapporto organico" è più intenso di quello per cui un complesso di soggetti (i Consigli degli Ordini degli Avvocati) elegge i membri di un altro soggetto (il CNF)?
MA NON BASTA. Per sostenere che il Consiglio Nazionale Forense non può più esser considerato giudice imparziale va riconosciuta importante la contrarietà (per quanto chiarisce la Corte di giustizia, con sentenza del 19/9/09 nella causa C-506/04) del diritto dell'Unione Europea alla qualificazione del CNF come giudice ai sensi dell'art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/Ce (l'art. 9 della direttiva 98/5, rubricato «Motivazione e ricorso giurisdizionale», dispone: «Le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione di cui all’articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari devono essere motivate. Tali decisioni sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno»).
La Corte di giustizia (Grande Sezione), con sentenza pronunciata il 19 settembre 2009 nella causa C-506/04, ha espresso un principio, in tema di composizione degli organi competenti a esaminare i ricorsi, che di necessità deve portare anche le Sezioni Unite Civili della Cassazione a negare il ruolo di "giudice" al C.N.F., in quanto composto da soli avvocati e abilitato a emettere sentenze impugnabili innanzi al giudice supremo (Sezioni Unite della Cassazione) con ricorso che consente solo un controllo in diritto e non in fatto. Ha, infatti, dichiarato la Corte di Giustizia, al punto 1 della suddetta decisione: "L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto". Della sentenza del 19/6/2006 mi pare debbano essere evidenziati i punti: 6, 31, 32, nonchè da 43 a 62.
In sostanza, aderendo alla valutazione della Corte di giustizia, le SS.UU. nel presente giudizio dovranno riconoscere che la composizione del C.N.F. (costituito da soli avvocati eletti dai COA) ne fa un collegio privo della caratteristica della indipendenza in senso oggettivo, e dunque della qualità stessa di "giudice", tale da inficiare la complessiva tutela giurisdizionale dell'Avv. Maurizio Perelli in relazione alla sua cancellazione dall'albo, pure per il fatto che manca la possibilità di un controllo giurisdizionale in fatto innanzi a (non previsto) giudice d'appello e alle SSUU. della Cassazione.
Le SS.UU., nel fare applicazione, quale ius superveniens, dell'art. 18, lett. D, della l. 247/12 (entrato in vigore il 2/2/2013 e che sostituisce la previgente incompatibilità "da impiego" con una incompatibilità "da attività" -la quale con l'impiego può non coincidere, nel senso che può mancare anche quando l'impiego c'è-) dovranno riconoscere che il ricorrente fu cancellato dall'albo forense in forza d'una verifica semplicemente "cartolare" della sussistenza del suo rapporto di impiego pubblico, verifica che dunque non ebbe ad oggetto la sua "attività" e perciò non si estese ad un ambito di merito che neppure innanzi al CNF e alle SS.UU. è stato consentito di verificare, mentre -per quanto appena detto- era necessario farlo.
Le SS.UU., nel fare applicazione, quale ius superveniens, dell'art. 18, lett. D, della l. 247/12 (entrato in vigore il 2/2/2013 e che sostituisce la previgente incompatibilità "da impiego" con una incompatibilità "da attività" -la quale con l'impiego può non coincidere, nel senso che può mancare anche quando l'impiego c'è-) dovranno riconoscere che il ricorrente fu cancellato dall'albo forense in forza d'una verifica semplicemente "cartolare" della sussistenza del suo rapporto di impiego pubblico, verifica che dunque non ebbe ad oggetto la sua "attività" e perciò non si estese ad un ambito di merito che neppure innanzi al CNF e alle SS.UU. è stato consentito di verificare, mentre -per quanto appena detto- era necessario farlo.
Per concludere, sul punto: la legge che regola la composizione, le attribuzioni e il funzionamento del CNF che ha emesso la sentenza impugnata (come pure la legge di riforma forense 247/12) configura una tutela giurisdizionale dell'avvocato, in tema di disciplina e di tenuta degli albi, troppo "debole" nella sua articolazione innanzi al "complesso" CNF-SS.UU. della Cassazione: l’avvocato, infatti, può far valere argomenti fondamentali a sua difesa solo innanzi al giudice speciale C.N.F. non terzo e dunque non imparziale (e senza poi un giudizio d'appello e con troppo limitati spazi per il ricorso in Cassazione come dimostra Cass. SS.UU. 19705/2012).
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Da quanto sopra esposto potrà anche derivare (se non la immediata dichiarazione di nullità della sentenza impugnata) la necessità che le SS.UU. della Cassazione propongano Q.L.C. dell'art. 56 del R.D.L. 1578/1933 e dell'art. 36 della l. 247/12, per violazione del diritto di difesa (art. 24 cost.), e violazione dell'art. 6 & 1 CEDU, quale parametro interposto di costituzionalità (art. 117, comma 1, Cost.).
Ciò in quanto le censurate disposizioni prevedono, innanzi alle SS.UU. Civili della Cassazione, una tutela giurissdizionale "debole" dell'avvocato che sia stato destinatario di cancellazione dall'albo.
Si sottolinea che anche la legge 247/12 (in coerenza con la grave scelta di fondo per un sostanziale rafforzamento della disciplina corporativa della professione di avvocato) disegna una intollerabile "tutela giurisdizionale debole" degli avvocati a fronte dei provvedimenti in tema di tenuta degli albi e di disciplina, irrogati nei loro confronti. In sostanza, infatti, la c.d. legge di riforma forense non innova radicalmente (come era doveroso fare) il quadro di tutela giurisdizionale dell'avvocato sanzionato disciplinarmente o destinatario di provvedimenti in tema di tenuta degli albi; neppure, per quanto qui si vuol evidenziare, riguardo al riesame in sede di legittimità delle decisioni del giudice speciale Consiglio Nazionale Forense. Recita, infatti, il comma 6 dell'art. 36 della l. 247/12: "Gli interessati e il pubblico ministero possono proporre ricorso avverso le decisioni del CNF alle sezioni unite della Corte di Cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge".
Continua a mancare una tutela giurisdizionale piena dell'avvocato cancellato dall'albo per motivi non disciplinari, come il ricorrente (come pure dell'avvocato sanzionato disciplinarmente).
Sul tema la Cassazione Civile, con sentenza del 06 aprile 2001, n. 00150, sez. U- Pres. Panzarani R- Rel. Altieri E- P.M. Cinque A (conf.), affermava: "il riesame in sede di legittimità delle decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense può avvenire soltanto nei limiti segnati dall’art. 56 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, (convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36), e dall’art. 111 Cost., nel cui ambito non è compreso il sindacato sulla sufficienza o congruità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360, n. 5, cpc". E' dunque evidente che la nuova legge professionale nulla innova sul punto rispetto all’art. 56 RDL n. 1578/1933 di cui alla riportata massima, testualmente ribadendo che l’impugnazione in Cassazione è possibile esclusivamente “per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge” (art. 36, co. 6).
In mancanza di declaratoria di incostituzionalità, varrebbe ancora, perciò, anche per la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di cancellazione dall'albo subito dal ricorrente, la limitata censurabilità in Cassazione dei vizi delle sentenze del CNF che venne ribadita da Cass., SS.UU. 29/1/1993, n. 1152 per cui: "Le decisioni del CNF in materia disciplinare sono ricorribili per cassazione, ai sensi dell'art. 56 del R.D.L. 27/11/1933, n. 1578 -convertito con modificazioni nella legge 22/1/1934, n. 36- e dell'art. 111 Cost. soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che il detto rimedio non è esperibile per denunciare l'inadeguatezza o altri vizi della motivazione che non si risolvano essi stessi in violazione di legge, come la mancanza totale o la mera apparenza della motivazione medesima".
Tale quadro normativo è stato ricostruito recentemente dalla sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 19705/2012, depositata il 13/11/2012. Essa chiarisce quale sia il livello di tutela giurisdizionale accordato all'avvocato e lascia all'interprete il giudizio -a mio avviso necessariamente negativo- sulla sufficienza (costituzionalità) o meno della giurisdizione domestica del CNF e della limitata provvista di giurisdizione delle SS.UU. della Cassazione in sede di impugnazione delle sentenze del CNF.
Occorre riconoscere l'incostituzionalità (per violazione del diritto di difesa, violazione dell'art. 117, comma 1, Cost.) del comma 6 dell'art. 36 della legge di riforma forense. Altrimenti, come dimostra Cass. SSUU 19705/2012, persino il legislatore che voglia liberalizzare -pensiamo ad esempio alla pubblicità degli avvocati- e persino la Cassazione a SSUU che fosse chiamata a giudicare le sentenze del CNF saranno condannati all'impotenza.
In particolare, quanto alla violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6, § 1, della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), quale parametro di costituzionalità interposto, si consideri che la sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo del 24/5/2011, su ricorso n. 26218/06 - Onorato c. Italia, ha statuito al punto 44: "La Corte ricorda che, secondo una giurisprudenza costante, l'art. 6, § 1, non obbliga gli Stati a creare delle corti d'appello o di cassazione. Tuttavia, quando esistono delle giurisdizioni di questo tipo, le garanzie previste dall'art. 6 devono essere rispettate, in particolare assicurando un accesso effettivo ai tribunali in modo che i richiedenti ottengano una decisione relativa ai loro e le persone perseguite sulla fondatezza delle accuse in materia penale mosse nei loro confronti (v., mutatis mutandis, Delcourt c. Belgio, sentenza del 17 gennaio 1970, § 25, serie A n. 11, e Sommerfeld c. Germania, n. 3171/96, § 64, 11 ottobre 2001)". E' richiesto, quindi, per l'avvocato già destinatario di sentenza del CNF, l'accesso pieno alla "ordinaria" giurisdizione della Cassazione e non un accesso limitato alla censura dei vizi di incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere.
Si torna a ripetere che la Corte di giustizia (Grande Sezione), ha dichiarato al punto 1 della sentenza pronunciata il 19 settembre 2009 nella causa C-506/04: "L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto".
Quindi, in relazione ai motivi di ricorso alle SS.UU. nei quali si censura anche difetto di motivazione e travisamento dei fatti, si dovrà sollevare q.l.c. della/e norma/e (art. 56 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, nonchè art. 36 della l. 247/12) che limitano la giurisdizione delle SS.UU. alla sola verifica dei vizi di incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Ciò perchè le dette norme sono viziate per violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e violazione dell'art. 6 & 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (come interpretata dalla Corte di Strasburgo in ordine alla necessità di una giurisdizione "piena"), quale parametro interposto di costituzionalità (art. 117, comma 1, Cost.).
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