Nel parere reso dal Prof. Piero Alberto Capotosti al CNF in tema di applicabilità al CNF stesso dell'art. 3, co 5, lettera f) del decreto-legge 13/8/2011, n. 138, trovi una interessante ricognizione dei limiti della c.d. delegificazione. Si legge al punto 4 del detto parere:
"4. — Se questo è il quadro normativo vigente si impone dunque una sintetica ricognizione dei limiti propri e caratterizzanti dell’istituto della delegificazione nell’ordinamento costituzionale ed in primo luogo dei limiti posti dall’art. 17, comma 2, della legge 400 del 1988, in quanto pur se si tratta di una norma di legge ordinaria, non idonea, in quanto tale, a condizionare le successive leggi successive, i limiti che essa individua a questo riguardo costituiscono la pura ricognizione di condizioni poste dalla Costituzione all’utilizzo della fonte regolamentare.
Si tratta essenzialmente di un doppio ordine di limitazioni.
In primo luogo, la delegificazione viene esclusa nelle materie riservate in via assoluta alla legge, e ciò per la ragione che regolamenti sostitutivi della legge non possono darsi in quegli ambiti dove l’intervento della fonte secondaria è precluso in radice da una disposizione costituzionale; in secondo luogo, la delegificazione viene esclusa se non accompagnata dalla previa posizione da parte del legislatore delle “norme generali” regolatrici della materia, e questo perché, in forza del principio costituzionale di legalità, non possono darsi regolamenti che intervengono come “liberi”, e cioè abilitati a disciplinare interi ambiti normativi in difetto di una previa regolazione generale da parte del legislatore (Corte costituzionale, ordinanza n. 359 del 2005).
Secondo la giurisprudenza costituzionale, detti limiti sono suscettibili di operare in una duplice forma, ancora una volta discendente dai caratteri propri dell’istituto.
Nel caso che il loro superamento risulti infatti direttamente imputabile alla legge di delegificazione – per aver essa abilitato il regolamento alla disciplina di ambiti ad esso costituzionalmente preclusi, o per averlo autorizzato ad operare in difetto di una previa determinazione di norme generali della materia – il vizio, riguardando appunto l’atto legislativo, deve farsi nelle forme del giudizio di costituzionalità (sentenza n. 427 del 2000). L’invalidità della legge di autorizzazione, nel caso, non può non riflettersi immediatamente sulla fonte regolamentare autorizzata, che ne risulta allora viziata in via indiretta.
Nel caso che invece il loro superamento sia imputabile al solo regolamento autorizzato – per aver questo travalicato l’ambito di competenza attribuitogli o per aver contraddetto le norme generali poste dalla legge – il vizio, riguardando appunto il solo atto regolamentare, deve farsi valere nelle forme conseguenti dell’annullamento o della disapplicazione da parte del giudice comune (ordinanza n. 401 del 2006).
In quanto imposte direttamente dalla Costituzione, queste limitazioni risultano intrinseche all’istituto, e condizionano dunque necessariamente l’ambito della procedura di delegificazione in oggetto, a pena di incostituzionalità. In primo luogo, escludendo dal suo raggio di azione le materie riservate in via assoluta alla legge, che sono inibite alla fonte secondaria; in secondo luogo, escludendo che tale fonte possa spingersi al di fuori degli specifici settori della materia, puntualmente
individuati dai criteri di cui alle lettere da a dell’art. 3, comma 5, in esame: al di fuori di quelli, infatti, il regolamento sarebbe abilitato a sostituire discipline legislative in difetto di norme legislative di riferimento, operando quindi, in modo inammissibile, alla stregua di una fonte primaria."
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