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Cass SSUU 2706/2019 su cancellazione da albo per carenza requisiti

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Cass SSUU con sentenza 2706/2019 ha deciso su cancellazione da albo senza convocazione (primo motivo di ricorso), con notifica della cancellazione solo via PEC (sedicesimo motivo di ricorso), con richiamo agli artt. 50 e 54 del RD 1578/1933 (diciassettesimo motivo di ricorso).

Riporto di seguito stralci della sentenza...

 

 

"Civile Sent. Sez. U Num. 3706 Anno 2019

Presidente: VIVALDI ROBERTA

Relatore: FALASCHI MILENA

Data pubblicazione: 07/02/2019

"Con il primo motivo di impugnazione, i ricorrenti lamentano la violazione e l'omessa applicazione dell'art. 17 legge n. 247 del 2012 e dell'art. 43 R.D. n. 1578 del 1933 in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., nonché violazione ovvero falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione fra le parti con riguardo alla circostanza che il COA ha disposto la cancellazione degli avocat senza previa convocazione degli stessi.

Il motivo è privo di pregio alla luce delle considerazioni che verranno di seguito illustrate.

... Di conseguenza, qualora nel valutare le singole domande di iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti i Consigli dell'Ordine rilevino la carenza dei requisiti necessari a tal fine dovranno negare l'iscrizione.

Parimenti, qualora la carenza dei requisiti venga rilevata dopo l'iscrizione, dovranno procedere alla cancellazione. E' quest'ultimo il caso dei ricorrenti, i quali, nel motivo di ricorso in esame, sostengono che il Consiglio nazionale forense con la sentenza impugnata avrebbe violato l'art. 17 I. 247/12 e l'art. 43 R.d.L. 1578/1933 ritenendo legittimo il comportamento del COA di Caltagirone laddove ha proceduto alla cancellazione senza aver preventivamente convocato l'avocat.

A sostegno della censura i ricorrenti richiamano un precedente di questa Corte, l'ordinanza del 21 luglio 2016, n. 15042 adottata in sede cautelare e confermata con la sentenza n. 6963 del 17 marzo 2017.

I casi, in effetti, sono simili. In entrambi un COA, rilevata la mancanza dei requisiti per l'iscrizione all'albo, ha proceduto alla cancellazione, applicando la procedura prevista dall'art. 17 della legge professionale forense, e specificamente dal comma 12, che così recita: "Nei casi in cui sia rilevata la mancanza di uno dei requisiti necessari per l'iscrizione, il consiglio, prima di deliberare la cancellazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, invita l'iscritto a presentare eventuali osservazioni entro un termine non inferiore a trenta giorni dal ricevimento di tale raccomandata. L'iscritto può chiedere di essere ascoltato personalmente".

Nel caso concreto è pacifico che gli avocat sono stati invitati con lettera raccomandata con avviso di ricevimento a presentare eventuali osservazioni entro il termine di trenta giorni, e a norma dell'articolo di legge su richiamato avevano facoltà di chiedere di essere ascoltati personalmente.

I ricorrenti non hanno chiesto di essere ascoltati personalmente, ma sostengono che il COA pur in assenza di una loro richiesta in tal senso, avrebbe comunque dovuto citarli dinanzi a sé, in applicazione dell'art. 45 R.d.L. 1578/1933, che disciplina la procedura per applicazione dei provvedimenti disciplinari, in questi termini: "(nessuna sanzione disciplinare) può essere inflitta (dal Consiglio dell'Ordine) senza che l'incolpato sia stato citato a comparire davanti ad esso, con l'assegnazione di un termine non minore di dieci giorni, per essere sentito a sue discolpe".

Nel precedente di questa Corte prima richiamato si è ritenuto che la regola dettata per i procedimenti disciplinari valga anche per la procedura di cancellazione dall'albo.

Sul punto è necessario un approfondimento della riflessione.

Come si è detto, la disciplina della iscrizione e cancellazione dall'alboè dettata dall'art. 17 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ("Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense"), intitolato appunto "Iscrizione e cancellazione". Tale normativa, per espressa previsione del terzo comma, si applica "osservate le norme dei procedimenti disciplinari, in quanto applicabili".

Se ne desume, prima di tutto, che la procedura di cancellazione regolata dall'art. 17 non è una procedura disciplinare. Se lo fosse, la disciplina dei procedimenti disciplinari sarebbe applicabile in via diretta, senza necessità di prevedere quanto sancito dal comma in esame. E del resto la legge professionale distingue e regola in gruppi di norme diverse procedura di cancellazione per carenza dei requisiti (art. 17) e procedura disciplinare (titolo V).

La disciplina del procedimento disciplinare è chiamata ad integrare la regolamentazione dell'art. 17 "in quanto applicabile", cioè solo in quanto manchi una norma specifica nella disciplina sulla iscrizione e cancellazione dall'albo per assenza dei requisiti di legge e solo in quanto non vi sia rapporto di incompatibilità tra le due normative. Ciò non avviene nel caso in esame. Infatti, come si è visto, la disciplina specifica dettata dal comma 12 dell'art. 17, prevede che il COA quando rilevi la mancanza di un requisito necessario per l'iscrizione, prima di deliberare la cancellazione ha l'obbligo di invitare l'iscritto a presentare le sue osservazioni e l'iscritto può chiedere di essere ascoltato. Qualora l'iscritto chieda di essere ascoltato, il COA deve farlo: non può adottare alcuna deliberazione senza averlo preventivamente convocato.

Questa disciplina è specifica ed incompatibile con la disciplina sul punto della procedura disciplinare, che impone sempre e comunque la citazione dell'incolpato. Non avrebbe infatti avuto senso riconoscere la facoltà di chiedere di essere sentito con relativo obbligo di audizione da parte del Coa, se questo obbligo sussistesse comunque a prescindere dalla richiesta. Vi è una incompatibilità logica tra le due previsioni. Quella specifica per la procedura di cancellazione non dà ingresso a quella dettata per il diverso caso della procedura disciplinare, le cui norme integrano la disciplina sulle cancellazioni solo in quanto applicabili.

Né può ragionevolmente sostenersi che la disciplina specifica leda il principio del contraddittorio, perché l'audizione costituisce un obbligo per il COA anche nella procedura per la cancellazione, solo che l'iscritto chieda di essere ascoltato. La scelta è rimessa all'avvocato. E se la facoltà viene esercitata, il COA è obbligato a procedere all'audizione ed un eventuale cancellazione senza preventiva citazione a comparire è soggetta a caducazione.

Sulla base di queste considerazioni la scelta operata nell'unico caso sinora esaminato da questa Corte deve essere rettificata, con l'affermazione del seguente principio di diritto: "Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati, qualora rilevi la mancanza di un requisito necessario per l'iscrizione all'albo, prima di deliberare la cancellazione dell'iscritto, oltre all'obbligo di invitarlo a presentare eventuali osservazioni, ha anche l'obbligo di procedere alla sua audizione ma solo a condizione che questi chieda di essere ascoltato, in quanto il comma 12 dell'art. 17 della legge 247 del 2012 ("Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense") contiene una previsione diversa e specifica rispetto alla normativa sulla procedura disciplinare, richiamata dal comma 3 del medesimo art. 17 solo in quanto applicabile".

Il motivo, quindi, non è fondato.

...

Con il sedicesimo motivo i ricorrenti deducono la inesistenza della notifica delle delibere di cancellazione effettuata nei loro confronti a mezzo PEC dal COA di Caltagirone, per essere la normativa che consente siffatta modalità prevista per gli avvocati, non anche per l'ente pubblico COA.

La censura è priva di pregio alla luce del principio secondo cui «in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato e secondo la disciplina anteriore a quella di cui all'art. 31 del Regolamento 21 febbraio 2014 n. 2 (adottato dal Consiglio Nazionale Forense ai sensi dell'art. 50, co. 5, legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di «procedimento disciplinare»), la disciplina di cui agli artt. 50 e 46, comma 2, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 («norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933 n. 1578, sull'ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore») va integrata con le evoluzioni delle normative in tema di notificazioni e comunicazioni da parte di enti pubblici non economici; pertanto, per il destinatario di integrale comunicazione a mezzo p.e.c. della decisione

disciplinare da parte del Consiglio dell'Ordine, che si limiti a lamentarne l'irritualità perché sostitutiva della notificazione a mezzo ufficiale giudiziario (in base a normativa superata dall'evoluzione di quella in tema di facoltà delle pubbliche amministrazioni non economiche di notificazione dei propri atti col mezzo della posta e poi di quella elettronica, normativa che avrebbe reso prevedibile per il destinatario la possibilità di un utilizzo di un tale equipollente) o per carenza di un'attestazione di conformità od altri requisiti formali previsti invece per gli atti del processo civile (e quindi inapplicabile ad un atto amministrativo, quale deve qualificarsi quello conclusivo della fase del procedimento disciplinare davanti al Consiglio dell'Ordine Forense secondo la disciplina previgente) e che comunque non ha dedotto in concreto alcuna conseguente violazione del diritto di difesa, è validamente iniziato a decorrere il termine per l'impugnazione» (cfr in termini, Cass. Sez. Un. n. 20685 del 2018).

....

Con il diciassettesimo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione della legge n. 247 del 2012 per avere il CNF in dispositivo usato la formula, "visti gli artt. 50 e 54 R.D. n. 1578 del 1933", privi di alcuna cogenza nell'attuale assetto normativo. Ad avviso dei ricorrenti sotto questo aspetto la decisione del CNF reca in sé un evidente errore di diritto.

Anche tale ultima censura non è fondata in quanto l'indicazione degli artt. 50 e 54 R.D. n. 1578 del 1933, non ha incidenza invalidante della decisione impugnata, avendo il CNF esercitato il potere nell'ambito delle attribuzioni di cui all'art. 17 legge n. 247 e risultando comunque le argomentazioni svolte nella parte motiva

idonee a escludere ogni dubbio sul punto. "

Per capire come mai sia giunto il momento di implemetare le professionalità interne alle pubbliche amministrazioni reintroducendo la compatibilità tra impiego pubblico a part time ridotto e la professione di avvocato si legga la sentenza della Cassazione, sez. 5, n. 28684/2018. Tale sentenza chiarisce quando l'Agenzia delle entrate possa farsi assistere da avvocati del libero Foro ma, ai punti da 6 a 14, dà conto delle attuali gravi difficoltà che le pubbliche amministrazioni incontrano per poter ricorrere agli avvocati del libero Foro sia nei gradi di merito che nel giudizio in Cassazione: ne risulta l'opportunità politica della reintroduzione della compatibilità suddetta.

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