Il TAR Lazio, con ordinanza 12856 depositata il 30 dicembre 2016 ha sollevato questione di legittimitàcostituzionale delle norme che disciplinano l'accesso al c.d. albo dei cassazionisti. Ha rilevato discriminazione "al rovescio" degli avvocati iscritti direttamente in albi italiani rispetto agli avvocati iscritti in albi forensi non italiani e "stabiliti" in Italia.
LEGGI DI SEGUITO L'ORDINANZA 12856/2016 DEL TAR LAZIO ...
N. 12856/2016 REG. PROV. COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2415 del 2016, proposto da: Roberta Barbieri, Barbara Bari, Corrado Benigni, Giovanni Bertino, Giammaria Bonfiglio, Paolo Botteon, Paola Borghi, Jean Battista Carminati, Valentina Carminati, Davide Ceruti, Michele Cesari, Bruna Civardi, Nicola Colli, Francesco De Marini, Gessica Franzoni, Giovanni Frosio, Chiara Gaio, Giacomo Gozzini, Omarmassimo Hegazi, Cristina Maccari, Ruben Marioni, Fabio Marongiu, Paolo Moretti, Giulio Musci, Ottaviano Mussumeci, Marco Nossa, Stefano Rossi, Fabio Savoldi, Irene Sirtoli, Andrea Temporin, Ernesto Nicola Tucci, Simone Tangorra e Daniele Zucchinali, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe La Rosa C.F. LRSGPP82H28H163G, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino C.F. SNNMRA38E03H501M, Giuseppe Morbidelli C.F. MRBGPP44S16A390N e Giuseppe Colavitti C.F. CLVGPP70L27B354I, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, v.le Parioli, 180; il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura – Sezione Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti non costituita in giudizio;
per l’annullamento
– del Regolamento del Consiglio Nazionale Forense n. 1 del 20 novembre 2015 di cui all’art. 22 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 sui corsi per l’iscrizione all’ “Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”, pubblicato sul sito istituzionale del Consiglio Nazionale Forense a decorrere dal 14 dicembre 2015;
– di tutti gli atti connessi, preordinati e conseguenti, comunque lesivi dei diritti e degli interessi degli odierni ricorrenti, tra cui, in particolare, del provvedimento CNF AMM05/01/16.024482U del 12 gennaio 2016, recante “Bando per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della Legge 31 dicembre 2012, n. 247”, pubblicato sulla GURI 4° serie Concorsi ed esami n. 4, in data dal 12 gennaio 2016;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Nazionale Forense (Cnf) e di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2016 il dott. Vincenzo Blanda e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
I ricorrenti sono iscritti all’Albo degli avvocati, ma non sono iscritti all’Albo speciale per il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.
L’art. 221 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (“Riforma della professione forense”) ha modificato il previgente sistema per il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, introducendo due alternative per acquisire l’abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori: sostenere l’esame previsto dall’art. 4, comma 3, della legge 1003/1936, decorsi cinque anni dall’iscrizione all’Albo professionale; oppure, decorsi otto anni di iscrizione all’Albo la frequenza di un corso svolto dalla Scuola superiore dell’avvocatura e superamento dell’esame finale.
Il CNF, quindi, ha adottato il regolamento in esame, che ha abrogato e sostituito il precedente regolamento, emanato il 16 luglio 2014, che prevede:
– il possesso di requisiti di natura soggettiva, tra cui, ad esempio, non aver riportato nei tre anni precedenti sanzioni disciplinari definitive, non essere oggetto, al momento di presentazione della domanda di accesso al corso, di sospensione cautelare ed, infine, aver patrocinato nei quattro anni precedenti venti giudizi dinnanzi alla Corte di Appello penale o dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, tributarie e contabili o dieci giudizi avanti la Corte di Appello civile;
– una prova di accesso preselettiva da svolgersi in unica data a Roma, consistente in un test a risposta multipla, comprendente 36 domande complessive;
– la frequenza di un corso di 100 ore con sede a Roma;
– il superamento di una prova scritta finale, consistente nella redazione, a scelta del candidato, di un ricorso per Cassazione in materia civile o penale o di un atto di appello al Consiglio di Stato.
La legge n. 247/2012 ha introdotto un regime transitorio a favore di coloro che, entro i tre anni dall’entrata in vigore della riforma della professione forense, maturassero i requisiti richiesti dalla precedente normativa (12 anni di anzianità). Per questi ultimi il legislatore ha previsto comunque la possibilità di iscriversi all’Albo delle giurisdizioni superiori in applicazione della precedente disciplina.
Avverso il regolamento in esame hanno, quindi, proposto ricorso gli istanti deducendo i seguenti motivi:
1) Disapplicazione e/o incostituzionalità dell’art. 22 della legge n. 247/2012, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 41 Cost., degli artt. 10, 11 e 117, comma 1, Cost. e, per il loro tramite, dei principi di cui all’art. 101 del TFUE, degli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in relazione al divieto di non discriminazione. Violazione del principio di parità di trattamento e non discriminazione a contrario di cui all’art. 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
Illegittimità derivata e/o conseguente nullità dell’atto gravato.
L’art. 22 della legga 247/2012 violerebbe le norme indicate in rubrica.
In particolare, la direttiva europea 16 febbraio 1998, n. 5, relativa all’esercizio stabile e continuativo della professione forense in uno Stato membro diverso rispetto a quello nel quale sia stato acquisito il relativo titolo di abilitazione, garantirebbe al professionista migrante l’accesso all’attività forense nello Stato membro ospitante.
Tale direttiva 98/5 è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, la quale, riconoscendo il titolo professionale conseguito in un altro Stato membro, all’art. 8 ha previsto che “nell’esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato”.
L’art. 9, comma 2, del d.lgs. 96/2001 prevede la possibilità per i professionisti europei di iscriversi all’Albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori, previa dimostrazione “di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia”.
Una volta iscritto all’albo speciale per le giurisdizioni superiori, dunque, lo straniero che intenda patrocinare dinnanzi alla Corte di Cassazione e altre Supreme giurisdizioni può farlo previa intesa con un avvocato abilitato al patrocinio avanti a dette giurisdizioni (comma 1).
In tal modo la legge n. 247/2012 avrebbe determinato una discriminazione “a contrario” nei confronti degli avvocati italiani, a cui è preclusa la possibilità di iscriversi all’Albo speciale a seguito del dodicennio di attività.
Né tale discriminazione sarebbe superata dalla circostanza che l’art. 9 richiede l’intesa con un avvocato abilitato a esercitare davanti alle giurisdizioni superiori.
Quindi dopo dodici anni di attività professionale (esercitata anche interamente in Italia), l’avvocato stabilito può iscriversi presso l’Albo speciale fregiandosi del relativo titolo; mentre, all’avvocato italiano è sempre preclusa tale facoltà, dovendo, invece, sostenere un iter formativo con relativo esame finale, al fine di potersi iscrivere nell’Albo speciale.
Il regolamento violerebbe l’art. 3 Cost., nonché per il tramite degli arti. 10, 11, e 117, comma 1, e le disposizioni introdotte a livello europeo dagli arti. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Infatti, l’art. 22 1. 247/2012 nel prevedere la necessità di sostenere un esame quale unica modalità di accesso all’Albo speciale, determinerebbe una discriminazione a danno del cittadino abilitato in Italia, a favore dell’avvocato stabilito.
Il regolamento contrasterebbe anche con i principi di cui agli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i quali – con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – hanno lo stesso effetto giuridico vincolante dei Trattati europei.
Il regolamento dovrebbe, in subordine, essere disapplicato ai sensi del l’art. 53 della 1. 24 dicembre 2012, n. 234, in quanto, in vigenza dell’art. 9 d.lgs. 96/2001 (che attua la citata direttiva europea 98/5), l’art. 22 1. 247/2012 avrebbe determinato nei confronti degli avvocati abilitati in Italia “effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea”;
2) Incostituzionalità dell’art. 22 1. 247/2012, per violazione dell’art. 3 Cost., del principio del legittimo affidamento “rafforzato” dall’esistenza di un rapporto amministrativo fondato sull’abilitazione già rilasciata. Illegittimità derivata.
L’art. 22 della 1. 247/2012, avrebbe violato altresì l’art. 3 della Cost., ledendo il legittimo affidamento “rafforzato” dall’esistenza di un rapporto amministrativo fondato sull’abilitazione già rilasciata.
L’art. 22, in particolare, avrebbe modificato il regime previgente relativo alla iscrizione presso l’Albo speciale, incidendo sulla posizione degli avvocati già abilitati al momento della sua entrata in vigore, determinando un effetto retroattivo.
Il regime transitorio introdotto dal legislatore avrebbe generato effetti distorsivi sul mercato creando un grave pregiudizio a coloro che erano già iscritti all’Albo professionale e che si accingevano ad acquisire il titolo per patrocinare dinnanzi alle giurisdizioni superiori.
3) Incostituzionalità dell’art. 22 della legge 247/2012 per violazione dell’art. 33, comma 5, e dell’art. 41 Cost., per illogicità e irragionevolezza. Illegittimità derivata.
L’art. 22 1. 247/2012 avrebbe introdotto un nuovo, autonomo e diverso, esame di abilitazione per esercitare la professione forense avanti alle giurisdizioni superiori, violando il dato costituzionale, che prescriverebbe un unico esame di abilitazione per esercitare una professione regolamentata.
La doppia abilitazione limiterebbe lo svolgimento della professione in modo irragionevole;
4) Incostituzionalità per violazione e falsa applicazione dell’art. 101 del TFUE, violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., Violazione dell’art. 97 Cost. e dei sottesi principi di imparzialità e buona amministrazione. Illegittimità derivata.
La previsione che affida al CNF per il tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, Sezione Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti l’organizzazione del corso violerebbe l’art. 101 del TFUE.
Poiché ogni avvocato dovrebbe considerarsi “impresa”, ai fini dell’applicazione delle norme poste a presidio della concorrenza, al CNF sarebbe applicabile la legge n. 287 in materia di tutela della concorrenza.
5) Incostituzionalità per violazione dei principi di imparzialità e trasparenza di cui agli artt. 97 e 98 Cost., nella parte relativa alla previsione dei componenti della Commissione.
Illegittimità derivata.
In attuazione dell’art. 22, comma 2, 1, 247/2012, l’art. 9 del Regolamento prevede che “la Commissione per la verifica di idoneità […] deve essere composta da quindici componenti effettivi e quindici supplenti, scelti tra membri del Consiglio Nazionale Forense, avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati addetti alla corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato”.
I membri provenienti dal CNF e gli avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori sarebbero sovrapponibili, in quanto secondo l’art. 38 della I. 247/2012 “sono eleggibili al CNF gli iscritti all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”.
La quota della commissione riservata ai “professori universitari di ruolo in materie giuridiche” non limita la partecipazione ai docenti a tempo pieno, consentendo la partecipazione anche di coloro che svolgono la docenza a tempo parziale. Da quanto sopra consegue che la maggior parte dei componenti della Commissione sarebbe iscritta all’Albo delle giurisdizioni superiori;
6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 21 e 22, comma 2, della legge 247/2012. Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà nonché violazione del principio di parità di trattamento. Nullità e/o Illegittimità originaria
L’art. 4, comma 2, lett. d) del regolamento impugnato prescrive che gli interessati debbano dimostrare di “aver svolto effettivamente la professione forense” in base ai criteri, tra loro alternativi, stabiliti dal successivo comma 3.
L’art. 22, comma 2, della 1. 247/2012 prevede quale unico requisito di accesso alla scuola l’iscrizione all’albo di otto anni, demandando al regolamento la facoltà di individuare meri “criteri e modalità di selezione per l’accesso”.
Tuttavia, il CNF avrebbe individuato un ulteriore requisito soggettivo di accesso, non ammissibile in ragione delle richiamate indicazioni normative.
L’art. 21, comma 1, della 1. 247/2012, dopo avere stabilito che la permanenza dell’iscrizione all’albo necessità dell’accertamento circa l’effettività nell’esercizio della professione, prevede che “le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione […] sono disciplinate con regolamento ai sensi all’art. 1”, quindi “adottato con decreto del Ministro della Giustizia”.
Tuttavia il CNF, con la norma regolamentare impugnata, avrebbe introdotto un requisito non previsto dalla legge (effettività della professione) esercitando un potere che la legge attribuisce al Ministero;
7) Eccesso di potere per sviamento, illogicità e irragionevolezza, nella parte in cui si prevede che per il superamento della prova (preselettiva) è necessario rispondere correttamente ad almeno due terzi delle domande.
Illegittimità originaria
La previsione di un test di accesso preliminare per poter accedere al corso organizzato dalla Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sarebbe illegittima.
Il CNF ed il Ministero della Giustizia si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso con le rispettive memorie.
In particolare, il CNF ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione al gravame in capo alle Associazioni ed ai singoli ricorrenti e per mancata evocazione in giudizio degli Avvocati iscritti al Corso, nonché la infondatezza dell’impugnazione nel merito.
I ricorrenti hanno replicato con memoria e hanno depositato documenti.
All’udienza del 5 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
1. Il Collegio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, intende sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, secondo cui:
“L’iscrizione può essere richiesta anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF. Il regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l’accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità è eseguita da una commissione d’esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati addetti alla Corte di cassazione”.
La questione sarà sollevata nei termini che si chiariranno di seguito.
2. A proposito della rilevanza della questione nel presente giudizio, il Collegio osserva quanto segue.
2.1 Innanzitutto, il ricorso in esame è destinato a pervenire ad una decisione di merito, in quanto deve ritenersi infondata le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa del CNF, che deduce, a tale fine: a) il difetto di contraddittorio con la categoria degli avvocati, o, almeno, con tutti gli Avvocati che stanno già svolgendo il corso per accedere all’abilitazione al patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori; b) l’assenza della legittimazione ad impugnare il regolamento adottato dal Consiglio Nazione Forense, in quanto in tal senso non sarebbe sufficiente la mera iscrizione all’albo professionale, essendo necessario comunque un interesse meritevole di tutela, che non potrebbe essere identificato nella aspettativa di essere iscritti all’albo dei cassazionisti senza dover frequentare il corso e sostenere le prove di abilitazione.
2.1.1) Non sussiste l’eccepito difetto di contraddittorio con gli Avvocati che, anch’essi privi della detta anzianità dodicennale alla data del 2 febbraio 2017, hanno già intrapreso il percorso disciplinato dall’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 e dai provvedimenti impugnati.
E’ infatti evidente che tali soggetti non rivestono una posizione sostanziale di controinteresse verso l’annullamento di tali atti, in quanto, innanzitutto, il risultato cui tutti gli Avvocati attualmente non iscritti all’Albo per i cassazionisti tendono è, ovviamente, il medesimo, ovvero l’iscrizione in detto Albo, senza che a tale fine possa rilevare il percorso attraverso il quale tale iscrizione viene ottenuta.
Inoltre, l’eventuale interruzione del percorso intrapreso da quegli Avvocati che debbano ottenere il titolo in questione attraverso la frequenza dei corsi di cui parla l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, lungi dall’incidere negativamente sulla sfera giuridica di questi ultimi, rappresenterebbe anzi, per costoro, un vantaggio, in quanto consentirebbe loro (previa l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma primaria di riferimento), di ottenere il medesimo titolo con il mero decorso del tempo, come chiedono, in ultima analisi, di fare i ricorrenti.
In definitiva, la posizione dei ricorrenti e quella degli Avvocati che hanno intrapreso i corsi in questione assumono la consistenza del co-interesse.
2.1.2) In relazione al secondo dei profili sollevati occorre evidenziare che gli Avvocati ricorrenti, nominati nell’epigrafe del ricorso, hanno depositato a corredo dell’impugnazione copia degli estrati dal sito internet del CNF da cui si evince la posizione dei ricorrenti circa l’iscrizione all’albo degli avvocati, documenti di cui il CNF non ha contestato la valenza probatoria dello status di Avvocato iscritto all’Albo di ognuno dei detti ricorrenti.
Dai detti documenti di riconoscimento si evince che, tra i ricorrenti, l’iscrizione all’Albo dell’Avvocato di maggiore anzianità risale al 10 febbraio 2004, mentre quella dell’Avvocato con la anzianità minore risale al 2014; ne consegue che i ricorrenti, al momento della proposizione del gravame (spedito a notifica il 1 marzo 2016) non potevano avere maturato l’anzianità necessaria a richiedere l’iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni superiori per anzianità, pari a dodici anni come prescriveva l’art. 4, comma 1, della legge n. 27 del 1997, e come l’art. 22, comma 4, della legge n. 247 del 2012 ancora consente a coloro che abbiano maturato i requisiti entro quattro anni dalla data di entrata in vigore della legge sul nuovo ordinamento forense.
Tale, accertata, qualità, radica la legittimazione ad impugnare il Regolamento del CNF che disciplina i corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori (ed il conseguente bando) emesso ai sensi dell’art. 22 della legge n. 247 del 2012, atteso che conferisce ai detti professionisti una posizione differenziata e qualificata sia verso i non iscritti ad Albi Forensi, che verso gli iscritti che, al momento della proposizione del gravame, avevano già maturato tale anzianità.
Neppure può dubitarsi di tale legittimazione, né, comunque, della ammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che alcuni tra i ricorrenti matureranno la detta anzianità di dodici anni entro il 2 febbraio 2017 (scadenza del quarto anno dalla entrata in vigore della legge n. 247 del 2012): è infatti evidente che, se tale evenienza potrebbe riguardare quei ricorrenti la cui iscrizione sia più risalente nel tempo, così non può dirsi per alcuni degli Avvocati in questione, la cui iscrizione all’Albo data oltre il 2 febbraio 2005 (e si tratta della maggior parte dei ricorrenti).
Per quanto appena detto, risalta con evidenza anche l’interesse ad ottenere un annullamento dei detti bando e Regolamento in capo ai medesimi Avvocati, la cui unica possibilità di accesso all’Albo dei cassazionisti è data non più dalla anzianità dodicennale (e, quindi, dal mero decorso del tempo), bensì esclusivamente dalle modalità indicate nell’art. 22 della legge n. 247 del 2012 (ovvero dall’iscrizione da almeno cinque anni e dal superamento dell’esame disciplinato dalla legge 28 maggio 1936, n. 1003, e dal regio decreto 9 luglio 1936, n. 1482), oppure, in alternativa, da quelle prescritte dal secondo coma della norma, ossia dall’avere “lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF”.
Naturalmente, per giungere a tale esito, è necessario che venga rimossa dall’ordinamento giuridico la norma che questo TAR sospetta di incostituzionalità, ossia l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, che fonda il potere del CNF di emanare il Regolamento ed il bando di cui qui si chiede l’annullamento.
2.2) Tanto premesso, il Collegio ritiene che la questione cui si possa ascrivere la non manifesta infondatezza da parte di questo TAR sia quella che i ricorrenti chiedono di sollevare con il primo motivo, nella quale denunziano, quanto alla possibilità di accedere all’Albo dei Cassazionisti, la disparità di trattamento che la disciplina dell’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 recherebbe per gli Avvocati formatisi in Italia, rispetto agli Avvocati stabiliti di cui tratta l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per i quali l’iscrizione nella relativa sezione speciale dell’albo è (ancora) subordinata alla dimostrazione “di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia”.
La rilevanza di tale questione nel presente giudizio è del tutto evidente, ed è palesata dalla stessa costruzione della censura, con cui i ricorrenti denunziano “direttamente” la norma sospettata di incostituzionalità, la quale, per il tramite dei provvedimenti impugnabili davanti al Giudice Amministrativo in questo giudizio, sarebbe, in tesi, foriera di disparità di trattamento rispetto agli Avvocati stabiliti in Italia, per i quali già l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevedeva (ed ancora prevede) la possibilità di iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori dopo il mero decorso di dodici anni di professione.
Osserva il Collegio che il motivo con cui i ricorrenti denunziano la disparità di trattamento tra Avvocati ed Avvocati stabiliti rispetto all’iscrizione all’Albo dei Patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori, alla luce di quanto dispone l’art. 22, comma 2, che prevede proprio il percorso conformato dagli atti gravati, dovrebbe essere respinto, dal momento che tale differenza risulta positivamente esistente nell’ordinamento.
Invece, senza la norma sospettata di incostituzionalità, i provvedimenti impugnati risulterebbero privi di base legislativa, e, soprattutto, l’oggettiva differenza fra le due strade che conducono Avvocati ed Avvocati stabiliti all’iscrizione all’Albo in questione non sarebbe giustificata dal diritto positivo; e dunque il motivo in questione sarebbe suscettibile di accoglimento.
3. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata, il Collegio ritiene che l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 contrasti con l’art. 3, comma 2, della Costituzione per avere introdotto, a parità di condizioni, un difforme (e deteriore) trattamento per gli Avvocati che si sono abilitati in Italia, che non possono più accedere all’Albo per il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale (come era sotto la vigenza dell’art. 33 del R.D. n. 1578 del 1933, modificato dall’art. 4 della legge n. 27 del 1997) rispetto agli Avvocati stabiliti, per i quali l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 conserva tale possibilità.
3.1. La comparazione delle due norme evidenzia, di per sé, tale disparità.
Ed invero, mentre l’art. 22, comma 2, prevede che l’esercizio della professione per otto anni sia soltanto il titolo abilitante per accedere alla prova selettiva che, se superata, dà ingresso ai Corsi organizzati dal CNF tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura (oggetto del Regolamento e del bando impugnati), che si concludono con una verifica finale (il cui esito negativo preclude l’iscrizione), invece l’art. 9, comma 2, del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevede:
“Per l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo indicato al comma 1, l’avvocato stabilito deve farne domanda al Consiglio nazionale forense e dimostrare di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia. Alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell’albo si applica la disposizione di cui all’art. 35 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni”.
Al riguardo occorre innanzitutto osservare che (diversamente da quanto sostiene il CNF) la norma da sospettare di incostituzionalità (ma nei giudizi in cui essa ha rilevanza, e dunque non nel presente) non può essere tale art. 9, in quanto esso è stata dettata nell’ambito della “Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale”, ed è quindi ispirato alla tutela dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 49 e 56 TFUE), alla cui osservanza la repubblica è tenuta (anche) dall’art. 117, I comma, della Costituzione.
Dunque, la previsione, per gli Avvocati stabiliti, di un accesso alla professione di Avvocato cassazionista per il mero decorso del tempo nell’esercizio professionale, ovvero senza (altri) ostacoli che il decorso di dodici anni, è stata ritenuta dal legislatore nazionale necessaria e ragionevole misura di attuazione di inderogabili principi comunitari.
Risalta evidente che tale scelta normativa è stata indirizzata dalla circostanza per cui, all’atto di entrata in vigore del decreto legislativo n. 96 del 2001, anche per gli Avvocati abilitati in Italia (oltre che a seguito di esame di Stato) il combinato disposto tra gli articoli 33 del RD n. 1578 del 1933 e l’art. 4 della legge n. 27 del 97 prevedevano la possibile iscrizione all’Albo in questione dopo il semplice decorso di dodici anni di professione.
L’art. 9 in questione, allora, palesandosi a contenuto, per così dire, necessitato (dal divieto di porre ostacoli alla libertà di stabilimento in Italia verso professionisti abilitati in altri Stati membri dell’UE), non può che costituire il necessario metro di comparazione rispetto al trattamento che la norma qui sospettata di incostituzionalità riserva, invece, agli Avvocati formatisi ed abilitatisi in Italia.
E’ allora agevole osservare (ad avviso del Collegio remittente) che non risponde a ragionevolezza la differenza con tale (necessitata) disciplina, quella, invero più onerosa, prevista per gli Avvocati non stabiliti, ma formatisi in Italia, per i quali il mero decorso di dodici anni nell’esercizio della professione non costituisce (più) requisito sufficiente all’iscrizione nel citato Albo.
Dopo l’entrata in vigore dell’art. 22, comma 2, della nuova legge professionale forense, infatti, l’ingresso tra gli Avvocati Cassazionisti – ora sottratto al mero fatto storico dell’esercizio professionale per dodici anni (come lo era per l’art. 33 del passato Ordinamento forense) – risulta una mera eventualità.
Questa disparità di trattamento risalta con maggiore evidenza ove si pensi che gli appartenenti ad entrambe le categorie di professionisti (Avvocati ed Avvocati stabiliti) possono svolgere la rispettiva attività professionale nel medesimo ambito territoriale, e, dunque, verso la medesima clientela potenziale.
Tuttavia, come ha insegnato a più riprese la Corte Costituzionale (cfr. ad esempio sentenze n. 209/2010 e 397/1994), il principio generale di ragionevolezza comporta il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e la coerenza dell’ordinamento giuridico.
3.2 Il Collegio ritiene, inoltre, che, proprio perché l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 deriva dall’attuazione di obblighi comunitari postulata dall’art. 117, comma 1, della Costituzione, non sia possibile una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 22, comma 2, della nuova legge sull’ordinamento forense, che, rispetto al primo, istituisce una notevole e gravosa serie di condizioni per gli Avvocati abilitati in Italia.
In altri termini, se, per alcuni professionisti, l’iscrizione all’Albo dopo dodici anni di professione (e non altro) deve essere ritenuta, per le anzidette ragioni, conforme a Costituzione, allora non è possibile scorgere tale compatibilità nei confronti di una disciplina che comporti, per altri professionisti che operano nel medesimo campo e nel medesimo mercato dei primi, l’incertezza e –comunque- il notevole aggravio legati ad un esame di ammissione al Corso di cui all’art. 22; alla frequenza del medesimo; ed infine alla positiva valutazione finale a seguito di esame.
Tanto più, che il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale ai fini dell’iscrizione era il medesimo requisito richiesto, sino al 2012, agli Avvocati (non stabiliti).
3.3 Né può affermarsi fondatamente che una differenza tra le due categorie, tale da escludere la disparità di trattamento, possa essere rinvenuta in quanto dispongono l’art. 8 ed il primo comma dell’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per cui l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.
E’ invero del tutto evidente che, ove non la si voglia ritenere un requisito solo di carattere formale, l’intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione di Avvocato davanti alle Giurisdizioni Superiori si risolve in un rapporto lasciato alla autonomia negoziale ed alla libera contrattazione tra due professionisti, di cui la norma di riferimento non prevede né il contenuto tipico (che, quindi, bene potrebbe tendere all’equilibrio sinallagmatico mediante la previsione di pattuizioni che compensino l’Avvocato italiano della responsabilità che egli assume), e neppure il naturale carattere oneroso; e che, quindi, non può di certo essere comparabile con l’aleatorietà insita nel regime posto dall’art. 22, comma 2, più volte ricordato.
4. In conclusione, la norma indicata contrasta, per le ragioni di cui in motivazione, con l’articolo 3 della Costituzione.
Posta la sua rilevanza nel presente giudizio, quest’ultimo deve essere sospeso, e deve essere ordinata la trasmissione dei relativi atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Terza, riservata ogni ulteriore statuizione in rito, sul merito e sulle spese, visti gli articoli 34 della Costituzione, 1 della legge Cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953:
1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma secondo, della legge n. 247 del 2012, con riguardo ai profili specificati in motivazione;
2) dispone la sospensione del presente giudizio;
3) ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
4) ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 5 ottobre 2016 e 2 novembre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Gabriella De Michele, Presidente
Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore
Achille Sinatra, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Vincenzo Blanda Gabriella De Michele
IL SEGRETARIO
30 dicembre 2016
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