Non è consentita una interpretazione "predatoria" del principio di solidarietà categoriale, quale sarebbe l'interpretazione che, cancellando il diritto alla restituzione dei contributi versati legittimamente alla Cassaforense per meno di 5 anni, realizzerebbe una "totale negazione di utilità" di tali versamenti contributivi (non di lunga durata ma di considerevole importo).
Di certo una tale interpretazione "predatoria", a vantaggio di ex colleghi più vecchi e più fortunati (i quali, inoltre, continuano ad essere privilegiati non solo per il "destino" previdenziale ma anche per la possibilità di continuare a fruire della, sempre più incrementata, funzione assistenziale della Cassaforense) non è certo avallata dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 7/2017. Tale sentenza espone principi che devono esser ritenuti validi anche in relazione alla previdenza forense. Protegge si l'autonomia delle Casse professionali ma ribadisce in più punti del "considerato in diritto" (punto 4.1, primo capoverso, e punto 4.2, ultimo capoverso) il "vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni". Un vincolo, questo, che non può valere solo se si tratti di salvaguardare le finanze delle Casse professionali da incostituzionali appetiti delle finanze statali ma deve vale anche per salvaguardare il montante previdenziale di ogni singolo professionista dalle, altrettanto incostituzionali, liberissime scelte della Cassa professionale su quali siano gli avvocati da meglio tutelare quanto a prestazioni previdenziali.
Il discorso, di certo, andrebbe ampliato e riferito anche alle incostituzionali liberissime scelte delle Casse professionali su quali siano gli importi da stornare dalla previdenza e destinare all'assistenza e su quali siano le fattispecie meritevoli di assistenza. Sul punto si consideri che la richiamata sentenza 7/2017 della Corte costituzionale ricorda -al punto 4,2 del "considerato in diritto"- la "naturale missione" delle Casse professionali di "preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale" [e non anche assistenziale] e appena prima afferma la necessità di "preservare da un'eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle risorse naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, [la Corte esclude, tacendone, la configurabilità di una naturale destinazione delle risorse derivanti dai versamenti contributivi alle prestazioni assistenziali] salvaguardando il buon andamento dell'ente in conformità agli obiettivi della riforma del 1994".
Si prospettano di seguito alcuni argomenti (tratti da una difesa dell’avv. Maurizio Perelli in causa contro Cassaforense) utili a contrastare la pretesa di Cassaforense di aver potuto abrogare, in delegificazione (attraverso talune delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense risalenti al 2004), il diritto degli avvocati alla restituzione dei contributi versati legittimamente per meno di cinque anni a Cassa forense, come sancito dagli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/80.
Nell'approfondimento riportato di seguito si censurano, tra l'altro, quelle interpretazioni di disposizioni legislative (l'art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e le norme di legge da quel comma autenticamente interpretate: in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995) secondo le quali la Cassa forense sarebbe stata autorizzata dalla legge ad abrogare retroattivamente (tramite delibere del Comitato dei delegati del 2004) il diritto al rimborso dei contributi previdenziali (versati per meno di 5 anni) già riconosciuto agli avvocati da norma speciale di legge. Clicca su “LEGGI TUTTO” ...
Punto 1
Violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ove si ritenesse che le delibere di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, abbiano potuto abrogare i diritti alla restituzione dei contributi reclamati dall'avv. Maurizio Perelli, si realizzerebbe una violazione dell’art. 1 (“Protezione della proprietà”) del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU (relativo al rispetto non solo della proprietà ma anche di un'ampia serie di “beni”, tra quali si deve comprendere anche il “bene” della restituibilità dei contributi reclamato dal ricorrente [nota 1]), sia considerato da solo, sia considerato in rapporto con l'art. 14 CEDU (“Divieto di discriminazione”) [nota 2].
La delegificazione abrogatrice ad opera delle delibere di Cassa forense del 2004 avrebbe comportato un’ingerenza nell’esercizio dei diritti al rimborso che il ricorrente poteva in precedenza far valere.
La giurisprudenza della Corte EDU ha avuto modo, in varie occasioni, di sottolineare come la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; e come tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite, la relativa disciplina non possa sottrarsi al giudizio di compatibilità con le norme della Convenzione e, in particolare, con l'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1, e con l’art. 14 della Convenzione [nota 3].
A proposito, in particolare, dei limiti entro i quali opera il divieto di trattamenti discriminatori stabilito dall’art. 14 della Convenzione, la stessa Corte EDU non ha mancato di segnalare il carattere relazionale che contraddistingue il principio, nel senso che lo stesso non assume un risalto autonomo, «ma gioca un importante ruolo di complemento rispetto alle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli, perché protegge coloro che si trovano in situazioni analoghe da discriminazioni nel godimento dei diritti garantiti da altre disposizioni» [nota 4]. Il trattamento diviene dunque discriminatorio – ha puntualizzato la giurisprudenza della Corte – ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole, non realizzi, cioè, un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo perseguito [nota 5].
Ebbene, è evidente che la delegificazione abrogatrice del diritto al rimborso dei contributi di cui si controverte costituisce un'ingerenza discriminatoria (ai sensi dell'art. 14 CEDU) verso l'avv. Maurizio Perelli, stante la mancanza di una giustificazione ragionevole e obiettiva e di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e le finalità perseguite. La discriminazione lamentata dall'avv. Maurizio Perelli è fondata indirettamente sull'età (avvocati più anziani non subirono la delegificazione abrogatrice del diritto al rimborso dei contributi).
Analisi della giurisprudenza della Corte EDU, con particolare riguardo all'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1.
Attraverso l'analisi della copiosa giurisprudenza di Strasburgo si può avere la conferma che la mancata restituzione di quanto versato dal ricorrente a seguito della cartella esattoriale impugnata e la mancata restituzione di tutti i contributi versati dal medesimo a Cassa forense integrerebbero violazione dell’art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 alla CEDU. Infatti, la Corte di Strasburgo -delineando i limiti delle ingerenze limitatrici di diritti e aspettative previdenziali ad opera delle norme sopravvenute- ha riconosciuto violato l’art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 alla CEDU ove non si riservi il giusto peso alle legittime aspettative nella stabilità dei regimi previdenziali in “una società democratica”. In sintesi, le violazioni della CEDU, nel caso di rigetto delle domande del ricorrente, deriverebbero dal fatto che in tale deprecata evenienza risulterebbe evidente che non si sarebbe tenuto sufficientemente conto che nella fattispecie concreta si è verificata la cessazione dall'iscrizione alla Cassa medesima senza aver maturato i requisiti per nessun beneficio previdenziale, con evidente sproporzionatezza della lesione del diritto pensionistico nella sua essenza [nota 6].
Si consideri che (come ricorda la recentissima sentenza della Corte costituzionale 214/2016) “a proposito della nozione di «bene», ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, la giurisprudenza della Corte EDU è costante nell’affermare che essa può comprendere sia «beni attuali» sia valori patrimoniali in virtù dei quali il ricorrente può pretendere di avere almeno una «aspettativa legittima» («ésperance légitime» in francese e «legitimate expectation» in inglese) di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Grande Camera, sentenza 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, e sentenza 28 settembre 2004, Kopecky contro Slovacchia; in senso conforme, tra le tante, sezione seconda, sentenza 23 settembre 2014, Valle Pierimpiè Società agricola s.p.a. contro Italia, e sentenza 18 maggio 2010, Plalam s.p.a. contro Italia). Non può, all’opposto, essere considerata un «bene» la mera «speranza» («espoir» in francese e «hope» in inglese) di vedersi riconosciuto un diritto di proprietà che si è nell’impossibilità di esercitare effettivamente (Grande Camera, decisione 2 marzo 2005, Von Maltzan e altri contro Germania e sentenza 28 settembre 2004, Kopecky contro Slovacchia; in senso conforme, sezione seconda, sentenza 23 settembre 2014, Valle Pierimpiè Società agricola s.p.a. contro Italia).”
Si consideri pure che, nella sentenza Klein c. Austria (Camera, prima sezione, 3 marzo 2011, punti 45 e 46) la Corte EDU affermò che l'avv. Klein, assicurato ad un regime previdenziale obbligatorio per gli avvocati, era legittimato a sperare di avere una pensione alla data prevista, e questo era un “bene” ai sensi dell’art. 1 del Prot. 1. Aggiunse la Corte di Strasburgo che la semplice circostanza che alla data prevista per il pensionamento di vecchiaia l’interessato non fosse più iscritto all’Ordine degli avvocati non permetteva di concludere che il medesimo non disponesse di un diritto ai sensi del detto art. 1. Ciò perché (punti da 48 a 57) la condizione ostativa all’accoglimento della domanda di pensionamento di vecchiaia del Klein non era frutto di una sanzione individuale ma si riconnetteva, piuttosto, alla legge austriaca che non consentiva di derogare al criterio dell’attualità dell’iscrizione all’Ordine professionale, quale fondamento primario e essenziale per ottenere il pensionamento (di modo che il caso non presentava alcun collegamento con le fattispecie Banfield e Apostolakis).
Conseguentemente, nello stabilire che il rifiuto di concedere la pensione di vecchiaia importava la lesione dei diritti del ricorrente ai sensi dell’art. 1 del Prot. 1, la Corte EDU affermò anche che, nell’ambito del loro margine di apprezzamento, gli Stati contraenti possono certamente decidere di vietare l’esercizio della professione a un avvocato che non dispone più di talune caratteristiche ritenute essenziali (nel caso si trattava delle risorse finanziarie ritenute essenziali dall'ordinamento austriaco e l'avv. Klein era anche stato dichiarato fallito), tuttavia, considerato che nel caso del Klein non erano intervenuti elementi di carattere sanzionatorio, questo interesse legittimo dello Stato non potrebbe mai giustificare la perdita di tutti i suoi diritti ad una pensione.
La Corte quindi affermò che, trattandosi di un regime previdenziale obbligatorio, si sarebbe dovuto tenere conto di situazioni di carattere eccezionale come quella del Klein. Ignorando, al contrario, l'apporto del Klein al Fondo pensionistico degli avvocati, lo Stato austriaco non aveva saputo garantire un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco.
Ebbene, analogo ragionamento deve farsi per riconoscere all'avv. Maurizio Perelli la protezione -ai sensi dell'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1- non del diritto a godere di una pensione contributiva al compimento del 65° anno, bensì del diritto ai richiesti rimborsi dei contributi versati. Anche tali rimborsi previsti dagli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/80 (o, meglio, la “possibilità di esercitare effettivamente” il diritto al rimborso dei contributi), infatti, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo [nota 7], erano oggetto di un affidamento che costituiva un «bene» protetto dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU. Si trattava di un diritto attuale che si aveva l'aspettativa legittima, economicamente rilevante, di poter continuare ad esercitare.
Vedi, anche Ásmundsson c. Islanda, 14 ottobre 2004, che, con argomenti utilizzabili a tutela dell'avv. Maurizio Perelli: 1) censura fattispecie nella quale il peso delle modifiche normative è gravato interamente soltanto su una minoranza di persone, alle quali è stata applicata la misura più estrema; 2) censura il fatto che la situazione che si è determinata a partire da una certa data non dipende dalla variazione della situazione personale del ricorrente ma è esclusivamente dovuta alle nuove condizioni di legge, da cui deriva la perdita del beneficio prima riconosciuto. Per la Corte EDU, situazioni come queste si conciliano poco con delle preoccupazioni esclusivamente di ordine finanziario, e pongono in luce, anzi, delle differenze di trattamento, che inducono dei dubbi, quanto alla loro giustificazione, sul piano dell’art. 14 della Convenzione.
Vedi anche Lakićević e altri c. Monténégro et Serbie, 13 dicembre 2011. Qui la Corte EDU censura il carattere innovativo delle disposizioni denunciate, derivate da una nuova concezione di incompatibilità. La Corte osserva che la modifica non limita la sua efficacia solamente alle situazioni future e sottolinea come la variazione attenga alla legge (non alle situazioni personali dei ricorrenti) talchè gli effetti deteriori della novità regolatoria gravano in modo eccessivo e sproporzionato sui ricorrenti, avendo riguardo al contesto fattuale e normativo.
Vedi anche Grudic c. Serbia, 14 aprile 2012, che censura le procedure seguite dall’ente previdenziale che non avevano per base delle disposizioni legali. La Corte ha ricordato che un bene che sia suscettibile di restrizioni unicamente sul fondamento della legge ed in presenza di motivi di interesse generale non può essere inciso da atti dell'ente previdenziale.
Punto 2
Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e delle norme di legge da quel comma autenticamente interpretate (in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995).
Ove si aderisse alle tesi di controparte, la norma di cui all’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e le norme di legge da essa autenticamente interpretate (in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995) sarebbero da riconoscere incostituzionali per violazione degli artt. 3, 23, 117, comma 1 (considerando come parametro interposto l'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 alla CEDU e l'art. 14 CEDU) della Costituzione, nella parte in cui autorizzano la abrogazione, in delegificazione (attraverso talune delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense) del diritto degli avvocati alla restituzione dei contributi versati a Cassa forense, come sancito dagli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/80.
In particolare, le disposizioni di legge che si intendessero aver autorizzato la detta delegificazione abrogatrice:
- violerebbero l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’affidamento e sotto il profilo della ragionevolezza;
- violerebbero l’art. 23 Cost. sotto il profilo della mancanza delle necessarie indicazioni di legge su quantificazione e distribuzione dell’onere che si consente alla fonte subordinata (delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense) di imporre.
I detti profili di incostituzionalità dovrebbero rilevarsi nella parte in cui le censurate norme di legge non prevedono che la delegificazione abrogatrice del diritto al rimborso dei contributi versati a Cassa forense [nota 13] che esse norme di legge, in ipotesi, autorizzano, non possa applicarsi nei confronti degli avvocati che, come l’avv. Maurizio Perelli, non possano vantare il numero di anni minimo di valida iscrizione alla Cassa -5 anni- che è richiesto per poter in futuro godere di una pensione contributiva.
Quanto all'art. 3 della Costituzione.
Si avrebbe:
a) violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’affidamento in quanto le disposizioni che si intendessero autorizzatrici della detta delegificazione abrogatrice sarebbero norme successive (a quelle che prevedevano il rimborso dei contributi) che, senza alcuna contropartita e senza obiettiva necessità, utilità e proporzione, verrebbero ad azzerare il diritto al rimborso precedentemente riconosciuto;
b) violazione dell’art. 3, comma 2, Cost. sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca, in quanto le disposizioni che si intendessero autorizzatrici della detta delegificazione abrogatrice darebbero luogo ad effetti paradossali rispetto ai fini da esse stesse dichiarati.
In particolare, quanto all’affidamento.
Si può sviluppare un ragionamento analogo a quello articolato (pur in materia diversa) nella sentenza della Corte costituzionale n. 108/2016, [nota 9].
Quasi parafrasando Corte cost. 108/2016 si deve ritenere che l’autorizzazione alla fonte secondaria ad inserire nel rapporto previdenziale già consolidato financo la cancellazione del diritto al rimborso (in particolari situazioni) dei contributi, prima garantito per legge a tutti gli avvocati, viene a stravolgere in modo sproporzionato alcuni elementi che caratterizzano in maniera pregnante il rapporto previdenziale stesso. Sotto tale profilo, è necessario sottolineare:
a) l’incidenza retroattiva sui presupposti delle scelte di Maurizio Perelli di esercitare sin dal 7/10/1997 la professione forense e successivamente di continuare ad esercitarla sino alla successiva cancellazione dall'albo. In relazione alla maturazione di tali scelte risultò determinante il “fattore rimborsabilità” dei contributi che si sarebbero dovuti versare alla Cassa; fattore in concreto azzerato dalle disposizioni di legge sopravvenienti (l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006, e l' “interpretativo” comma 488 dell'art. 1 della l. 147/2013), disposizioni che consentirono (secondo l'interpretazione di controparte) di cancellare il diritto al rimborso;
b) la lesione della certezza dei rapporti giuridici, considerato l’affidamento dell’avv. Maurizio Perelli su un rapporto giuridico previdenziale di natura, almeno parzialmente, corrispettiva;
c) la modifica unilaterale, per fatto del legislatore, degli effetti del rapporto previdenziale, con evidente asimmetria tra il permanere immutato degli obblighi di contribuzione dell'iscritto alla Cassa e l’affievolimento dei suoi diritti previdenziali.
Per quanto riguarda, in particolare, l’accertamento della lesione al principio dell’affidamento sulla certezza dei rapporti giuridici, non è indifferente il fatto che proprio il legislatore, dopo aver introdotto nella previdenza forense un sistema normativo basato sul principio della corrispettività (il sistema contributivo), pretenda di rimuovere le conseguenze “contrattuali” derivanti dall’assetto preesistente.
Sempre seguendo l'argomentazione di Corte cost. 108/2016, si nota che non è, altresì, irrilevante l’elemento temporale, cioè la scansione cronologica tra il permanere dell'iscrizione alla Cassa forense dell’avv. Maurizio Perelli ed il preteso mutamento normativo, abrogativo del diritto al rimborso. Infatti, con riguardo all’elemento temporale, la detta sentenza 108/2016 ricorda come la Corte costituzionale abbia avuto modo di precisare i rapporti tra la stabilità dei vincoli di durata e le sopravvenienze normative, affermando che «non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto (sentenze n. 36 del 1985 e n. 210 del 1971).» (sentenza n. 349 del 1985).”
E ancora, sempre seguendo l'argomentazione di Corte cost. 108/2016: oltre all’elemento temporale non può essere disconosciuta, nel caso in esame, la sproporzione dell’intervento legislativo (secondo controparte) avrebbe consentito a Cassaforense di adottare una innovativa regolamentazione abrogativa del diritto al rimborso dei contributi.
Quanto alla sproporzione dell'intervento legislativo che (in ipotesi) avrebbe autorizzato Cassa forense a comprimere l'affidamento degli avvocati sulla rimborsabilità dei contributi versati alla Cassaforense, occorre riconoscere che, rispetto all’esigenza di contenimento della spesa della Cassa, risulta non proporzionato il sacrificio imposto, nella fattispecie, al lavoratore avvocato il quale è parte di un rapporto previdenziale con la Cassa. Occorre, al riguardo, evidenziare ricordare che le delibere di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, non sono corredate da alcuna relazione tecnica circa i risparmi conseguibili attraverso le stesse.
Nessuna analisi economico attuariale relativa alla sostenibilità finanziaria a lungo termine è stata fatta da Cassa forense con riguardo alle conseguenze finanziarie a lungo termine della innovazione consistente nella non restituibilità dei contributi versati da soggetti quali il ricorrente (che cioè siano cancellati dalla Cassa senza aver maturato un periodo di almeno 5 anni di valida contribuzione, onde poter accedere a pensione).
Si consideri, inoltre, che è addirittura notoria la limitatezza degli apporti a Cassa forense degli avvocati ai primi anni di iscrizione alla Cassa. Da tale fatto notorio si deve dedurre la evidente impossibilità che l'incameramento definitivo, da parte di Cassa forense, dei contributi non restituiti a chi, come il ricorrente, sia cancellato dalla Cassa senza aver versato contributi validi per almeno 5 anni, possa costituire misura “necessaria” a garantire l'equilibrio finanziario di lungo termine. Ragionamento analogo ha fatto la Cassazione, in sentenza n. 12338/2016, riconoscendo che la delibera dell'assemblea dei delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti che aveva imposto ai commercialisti un contributo di solidarietà temporaneo per il quinquennio 2009-2013 non può intendersi sanata dall'art. 1, comma 488, della l. 147/2013 proprio per impossibilità di riconoscere a detta delibera la caratteristica della finalizzazione all'equilibrio finanziario di lungo termine [nota 10].
Ciò rende recessive, rispetto alla salvaguardia del legittimo affidamento, le ragioni che, nel quadro di un bilanciamento di valori costituzionalmente protetti, si volessero prospettare a favore del contenimento della spesa previdenziale di Cassa forense, realizzato con la abrogazione, per delegificazione, del diritto al rimborso in questione.
Pertanto, concludendo come Corte cost. 108/2016, si potrà affermare che il giusto bilanciamento tra, da un lato, la posizione privata incisa dalla retroattività della delibera di Cassa forense del 2004 che ha preteso di cancellare la restituibilità dei contributi di cui agli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/1980, e, dall’altro lato, l’interesse pubblico sotteso al contenimento della spesa dell'Ente previdenziale, rende contrastanti con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del principio dell’affidamento, tutte quelle disposizioni legislative che (ove si aderisse all'interpretazione di controparte) avrebbero autorizzato Cassa forense ad abrogare il diritto alla restituzione dei contributi reclamato dall’avv. Maurizio Perelli.
La Corte costituzionale non mancherebbe di riconoscere rilevante e fondata una q.l.c. che -con riguardo alle norme eventualmente ritenute legittimanti la delegificazione abrogatrice di cui si controverte- fosse argomentata in maniera simile all'argomentazione della q.l.c. sollevata dalle SS.UU. della Cassazione con ordinanza n. 24689/2010 [nota 11]. Mutatis mutandis, ovviamente. Infatti, non si tratta più di censurare l’efficacia sostanzialmente retroattiva di una legge (la l. 339/2003) che reintroduce una incompatibilità forense precedentemente abrogata, bensì si tratta di censurare le disposizioni legislative (l'art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e le norme di legge da quel comma autenticamente interpretate: in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995) che consentono la abrogazione retroattiva, tramite delibere della Cassa forense, di diritti previdenziali già riconosciuti da legge speciale.
In definitiva, il principio della tutela del legittimo affidamento deve trovare ora, con riguardo al tema che ci occupa (restituzione dei contributi obbligatoriamente versati a Cassa forense), ben maggiore tutela di quella che trovò allorché la sentenza della Corte costituzionale 166/2012 respinse la q.l.c. degli articoli 1 e 2 della legge 339/2003, che le SS.UU civili della Cassazione avevano sollevato “sia in relazione agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, sia in riferimento al parametro della ragionevolezza intrinseca di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”. La sentenza della Corte costituzionale n. 166/2012 decise con riguardo all’affidamento che lo Stato aveva ingenerato in Maurizio Perelli, allorché, con l. 662/2001, art. 1, commi 56 e ss., gli aveva consentito di trasformare il suo impiego pubblico full time in un impiego pubblico a part time ridotto ed avviare l’esercizio della professione forense. Ora, invece, si tratta di valutare la legittimità costituzionale di una normativa che avrebbe autorizzato una delibera di Cassa forense ad abrogare il diritto alla restituzione dei contributi versati da quel medesimo avvocato affidato. Con riguardo alla questione di costituzionalità attuale dovrà rilevare non solo la maggior sensibilità mostrata da Corte cost. 108/2016 sulla tematica della tutela del legittimo affidamento ma soprattutto la mancanza (nelle disposizioni di legge che avrebbero autorizzato, in ipotesi, la delegificazione abrogatrice ad opera di delibere di Cassa forense) di qualsivoglia disciplina transitoria tesa a limitare il danno del soggetto il cui affidamento nella stabilità della restituibilità in questione oggi è travolto. In sintesi, in mancanza di un regime transitorio di tutela dell’affidamento dell’avv. Maurizio Perelli sulla stabilità della legge che consentiva la restituzione dei contributi versati a Cassa forense, non potrà operarsi un bilanciamento di interessi costituzionali quale quello operato da Corte cost. 166/2012 al punto 5.3 e seguenti del “considerato in diritto”. Inoltre, con riguardo alla q.l.c. attuale, non potrà certo rilevare quella “non irragionevolezza della scelta normativa di carattere inderogabilmente ostativo sottesa alla legge n. 339 del 2003” che tanto pesò in Corte cost. n. 166/2012. Al contrario, occorrerà valorizzare adeguatamente il rafforzamento dell’affidamento legittimo ingeneratosi nell’avv. Maurizio Perelli in mancanza di una necessità inderogabilmente ostativa in relazione al valore costituzionale della previdenza.
In particolare, quanto alla ragionevolezza intrinseca, di cui all’art. 3, comma 2, della Costituzione.
Ove si aderisse alle tesi di controparte, la norma di cui all’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e le norme di legge da essa autenticamente interpretate (in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995) sarebbero da riconoscere incostituzionali in quanto consentirebbero a delibere di Cassa forense di abrogare il diritto a rimborso dei contributi (di cui agli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/1980) nei confronti di tutti indistintamente gli avvocati, indipendentemente dal loro reddito e dalla titolarità o meno dell'anzianità di iscrizione alla Cassa richiesta per ottenere in futuro una pensione. In tal modo si contraddirebbe gravemente la necessità -espressamente dichiarata dall'art. 3, comma 12, della l. 335/1995 (nel testo in vigore dall'1/1/2007)- di tener conto dei criteri di gradualità e di equità tra le generazioni.
La gradualità e proporzionalità sarebbero contraddette da una abrogazione del diritto al rimborso dei contributi indipendente dall'entità del reddito prodotto dagli avvocati. Chi ha prodotto redditi professionali minimi e cionondimeno ha dovuto versare una quota fissa di contributi subirebbe -a seguito dell'abrogazione del diritto al rimborso- un sacrificio certamente non proporzionale rispetto al reddito prodotto, come invece impone il principio di progressività [nota 12].
L'equità tra le generazioni risulterebbe contraddetta da una abrogazione del diritto al rimborso dei contributi che prescindesse dalla titolarità o meno dell'anzianità di iscrizione alla Cassa richiesta per ottenere in futuro una pensione contributiva: sono, infatti, soprattutto gli avvocati “giovani”, con meno di 5 anni di iscrizione alla Cassa, a poter trovare conveniente la restituzione dei contributi rispetto alla prospettiva di una, per loro, spesso misera pensione contributiva.
In definitiva si avrebbe una penalizzazione ingiusta per alcuni con indebito vantaggio per altri: la ricchezza sottratta al ricorrente, che si trova in condizioni deteriori, verrebbe impiegata per migliorare diametralmente e senza un ragionevole motivo la situazione economica di tutti gli avvocati che hanno percepito redditi professionali più alti, hanno trovato conveniente continuare la professione forense, hanno correlativamente acquisito quella anzianità di iscrizione alla Cassa di almeno 5 anni che consentirà loro di godere d'una adeguata pensione [nota 13].
E ancora: sarebbe intrinsecamente irragionevole una normativa di legge che consentisse il rimborso (ex art. 22, ultimo comma, della l. 576/1980) di contributi versati a Cassa forense che fossero irrilevanti sull'an del futuro godimento di pensione contributiva (ci si riferisce ai contributi relativi ad annualità di versamenti che fossero “inefficaci” -perchè versati in costanza di accertato esercizio della professione in situazione di incompatibilità- ma nel contempo costituissero annualità aggiuntive a quelle sufficienti, in quanto superiori a 5, per maturare il diritto a pensione contributiva) e non consentisse il rimborso di contributi che invece, come quelli richiesti in restituzione dal ricorrente, fossero rilevanti addirittura sull'an della pensione contributiva e in particolare la pregiudicassero (perché versati per meno di 5 annualità, stante la cancellazione dall'albo (nella fattispecie concreta tale cancellazione derivò da un'imprevedibile reintroduzione di un regime di incompatibilità forense).
A prova ulteriore del profilo di incostituzionalità in esame si consideri quanto precisò Corte cost. ordinanza 30/1/2003, n. 22, nel considerare costituzionalmente legittimo un intervento legislativo in ambito previdenziale per finalità solidaristiche [nota 14]. Precisò allora il giudice delle leggi che il particolare contributo di solidarietà al suo esame poteva esser considerato costituzionalmente legittimo “in quanto posto a carico di una categoria di soggetti che, dati gli alti livelli pensionistici raggiunti, ha evidentemente beneficiato di una costante presenza nel mercato del lavoro e della mancanza di qualsivoglia tetto contributivo”. Situazione, quella esaminata dalla detta ordinanza della Corte costituzionale, evidentemente diversa da quella che viene in rilievo nella presente causa, ove la solidarietà invocata da controparte si realizzerebbe “sulle spalle” di una categoria d'avvocati già ampiamente penalizzati dal modificarsi, nel tempo, del contenuto di costi e benefici del loro rapporto previdenziale con la Cassa categoriale. Fortunatamente l'art. 3 Cost. è un valido baluardo contro un concetto predatorio di solidarietà categoriale.
Quanto alla violazione dell'art. 23 della Costituzione.
Si deve seguire l'insegnamento di Corte cost. 190/2007 la quale ha dichiarato incostituzionale, in riferimento all'art. 23 Cost., la norma che prevedeva che la misura del contributo obbligatorio di tutti i sanitari iscritti negli ordini professionali è stabilita dal consiglio di amministrazione dell'ONAOSI con regolamenti soggetti all'approvazione dei ministeri vigilanti ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. 509/1994. Il giudice rimettente aveva censurato la norma per contrasto con l'art. 23 Cost. in quanto non determinava in via preventiva né in termini sufficientemente precisi i criteri direttivi cui doveva ispirarsi il consiglio di amministrazione dell'ONAOSI e senza che fosse possibile desumere aliunde detti criteri.
Scrisse la Corte: “Non v'è dubbio che ai contributi in esame, siccome determinati con atto unilaterale, alla cui adozione non concorre la volontà del privato, sia da attribuire la natura di prestazioni patrimoniali obbligatoriamente imposte, come tali soggette alla garanzia dettata dall'articolo 23 Cost.
Tale parametro, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, configura una riserva di legge di carattere “relativo”, nel senso che essa deve ritenersi rispettata anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione (sentenza n. 67 del 1973 e n. 507 del 1988) purché la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione (sentenze n. 507 del 1988, n. 182 del 1994, n. 180 del 1996, n. 105 del 2003).
Così individuata la portata della riserva di legge posta dall'art. 23 Cost., appare evidente che la disciplina legislativa sugli obblighi contributivi posti dalla norma denunciata, esaminata nel contesto dei dati normativi citati, non risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale.
In particolare, venuto meno ogni collegamento con le fonti legislative succedutesi sino al 1949, la norma censurata, pur contenendo l'identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione, nonché del modello procedimentale cui la Fondazione deve uniformare la propria attività, si limita a confermare l'obbligatorietà dei contributi previdenziali, che continuano ad esser posti a carico dei medesimi soggetti professionali anche dopo la privatizzazione dell'ente impositore, senza offrire alcun elemento, neanche indiretto, idoneo ad individuare criteri adeguati alla concreta quantificazione e distribuzione degli oneri imposti ai soggetti sopra menzionati.
Invero, i controlli previsti nel corso della procedura di approvazione dei contributi riguardano gli aspetti gestionali e di bilancio, mentre restano completamente in ombra le valutazioni sull'entità dei contributi obbligatori (come pure dei relativi aggiornamenti). Il risultato è che non si comprende in quale modo i precitati criteri e limiti possano essere ricavati da procedure di controllo ministeriale mirante a tutt'altro fine.
Per tali ragioni, la questione di legittimità sollevata dal Tribunale rimettente, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, è fondata.”
Ebbene, facendo applicazione dei principi esposti da Corte cost. 190/2007, non v'è chi non veda che l'art. 3, comma 12, della l. 335/1995, sia nel testo in vigore fino al 31/12/2006, sia nel testo in vigore dall'1/1/2007, è inidoneo a fornire criteri adeguati a far ritenere rispettosa dei limiti posti dall'art. 23 Cost. l'autorizzazione legislativa alla abrogazione “in delegificazione” -ad opera di delibere di Cassa forense- del diritto degli avvocati ai rimborsi dei contributi come previsti negli artt. 21, co 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/1980.
Quanto al testo del citato comma 12 in vigore fino al 31/12/2006: esso, per un verso, tipizza gli interventi consentiti a Cassa forense (i “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riperametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico” costituiscono numerus clausus, come riconobbe Cass. 22240/2004 e Cass. 24202/2009, al punto 2.8 della motivazione) e tra questi non comprende, escludendone dunque la possibilità, l'abrogazione del diritto già attribuito per legge ai rimborsi in questione; per altro verso, non affianca alla detta tipizzazione di interventi delegati una indicazione di “criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione” delegata (e a maggior ragione se la si volesse ritenere delegata ad intervenire anche oltre il ristretto ambito della detta tipizzazione di provvedimenti). Certamente, peraltro, la richiesta, nel comma 12, del “rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti” non vale ad estendere oltre i provvedimenti tipizzati l'ambito d'azione della attività regolatoria delegata a Cassa forense.
Quanto poi al testo del comma 12 in vigore dall'1/1/2007, esso abbandona la tipizzazione limitatrice dei provvedimenti adottabili da Cassa forense (consentendo alla stessa di adottare “i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine”) ed all''ampliamento delle tipologie provvedimentali consentite alla Cassa affianca una connotazione qualitativa dei provvedimenti adottabili. Afferma, in sostanza, che possono essere adottati (dall'1/1/2007 in poi e senza che successive leggi “interpretative” possano realizzare, per così dire, delle sanatorie postume) i provvedimenti dei quali sia dimostrata la necessità per il detto equilibrio finanziario, solo però se essi sono adottati “avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”. In tal modo, neanche il testo del comma 12 in vigore dal gennaio 2007 pone “criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione”, con riguardo all'intervento di abrogazione, a mezzo delibera del Comitato dei delegati di Cassa forense, del diritto al rimborso invocato dal ricorrente. Né, in assenza di tali criteri, limiti e controlli, può sostenersi che la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile aliunde.
In definitiva, seguendo Corte cost. 190/2007 si dovrà riconoscere l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013 e norme di legge da quel comma autenticamente interpretate (in primis l'ultimo periodo dell'art. 1, comma 763, della l. 296/2006 e, mediatamente, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995), in relazione all'art. 23 Cost., stante la mancanza, in tali norme di legge, di “alcun elemento, neanche indiretto, idoneo ad individuare criteri adeguati alla concreta quantificazione e distribuzione degli oneri imposti” agli avvocati, e consentendo, esse norme censurate, una generalizzata abrogazione, attraverso delibere di Cassa forense, dei diritti al rimborso dei contributi versati alla Cassa, come riconosciuti agli artt. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/80 [nota 15].
S'è avuta, in sostanza, una violazione del principio costituzionale di legalità, non potendo essere ammessi regolamenti (nella fattispecie si tratta di delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense) che intervengano come “liberi”, e cioè abilitati a disciplinare interi ambiti normativi in difetto di una previa regolazione generale da parte del legislatore (Corte costituzionale, ordinanza n. 359 del 2005).
Solo una interpretazione in senso minimale della delega regolatoria concessa dal legislatore alla Cassa può impedire la declaratoria di incostituzionalità prospettata. Al riguardo si ricorda che il giudice delle leggi, (come ricorda anche Corte cost. 303/2005, al punto 2 del "considerato in diritto") "a proposito dell'ipotesi .. di delega legislativa volta al «riordino» di una materia, ha più volte affermato che, «in mancanza di princípi e criteri direttivi che giustifichino la riforma» della normativa preesistente, la delega «deve essere intesa in un senso minimale, tale da non consentire, di per sé, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo» (v. la sentenza n. 354 del 1998, richiamata dalle sentenze n. 66 del 2005 e n. 239 del 2003)”.
Punto 3
Le delibere di Cassa forense del 2004 che pretendono di abrogare il diritto degli avvocati alla restituzione dei contributi versati travalicano i limiti costituzionali alla delegificazione. Esse non possono aver abrogato le disposizioni di legge che prevedono il diritto degli avvocati di ottenere la restituzione dei contributi versati alla Cassa.
Si vuol dimostrare ora che, seguendo una interpretazione che sia capace (come lo è quella proposta nel ricorso introduttivo) di superare le problematiche costituzionali e di conformità con la CEDU sopra prospettate, deve negarsi alle delibere del Comitato dei delegati di Cassa Forense del 2004, invocate da controparte, il potere di abrogare il diritto alla restituzione dei contributi che l’avvocato Maurizio Perelli aveva già versato al momento dell'entrata in vigore di quelle delibere, nonché dei contributi che avrebbe continuato a versare alla Cassa Forense.
Si evidenzia subito che l'assurdità della tesi contraria (quella che sostiene l'abrogazione dell'art. 21) appare già evidente se solo si consideri che essa comporta, come corollario ineliminabile, la affermazione inaccettabile che quelle medesime delibere del 2004 avrebbero comportato pure l'abrogazione del diritto del ricorrente, una volta cancellato dalla Cassa, a ripristinare (onerosamente, ex art. 21, co 4, l. 576/80) il precedente periodo di anzianità di iscrizione in caso di sua nuova iscrizione alla Cassa [nota 16]. Invero, il diritto al ripristino dell'anzianità contributiva, e del relativo “montante”, attraverso la restituzione alla Cassa (con l'aggiunta di interessi del 10%) delle somme prima rimborsate trovava, base giuridica solo in quell'art. 21 che controparte vorrebbe abrogato.
Ciò a prescindere, per dimostrare che non può dirsi realizzata per delegificazione, ad opera di delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense, l’abrogazione di quelle disposizioni dell’art. 21, comma 1, e 22, ultimo periodo, della l. 576/80 [nota 17] che riconoscono, in particolari situazioni, il diritto per gli avvocati di ottenere la restituzione dei contributi versati alla Cassa, è bene ricordare i limiti che la Costituzione pone alla c.d. delegificazione.
Chiarissimo, al riguardo, è l'insegnamento del Presidente emerito della Corte costituzionale, Prof. Capotosti, [nota 18]: "… si impone dunque una sintetica ricognizione dei limiti propri e caratterizzanti dell’istituto della delegificazione nell’ordinamento costituzionale ed in primo luogo dei limiti posti dall’art. 17, comma 2, della legge 400 del 1988, in quanto pur se si tratta di una norma di legge ordinaria, non idonea, in quanto tale, a condizionare le leggi successive, i limiti che essa individua a questo riguardo costituiscono la pura ricognizione di condizioni poste dalla Costituzione all’utilizzo della fonte regolamentare.
Si tratta essenzialmente di un doppio ordine di limitazioni.
In primo luogo, la delegificazione viene esclusa nelle materie riservate in via assoluta alla legge, e ciò per la ragione che regolamenti sostitutivi della legge non possono darsi in quegli ambiti dove l’intervento della fonte secondaria è precluso in radice da una disposizione costituzionale; in secondo luogo, la delegificazione viene esclusa se non accompagnata dalla previa posizione da parte del legislatore delle “norme generali” regolatrici della materia, e questo perché, in forza del principio costituzionale di legalità, non possono darsi regolamenti che intervengono come “liberi”, e cioè abilitati a disciplinare interi ambiti normativi in difetto di una previa regolazione generale da parte del legislatore (Corte costituzionale, ordinanza n. 359 del 2005).
Secondo la giurisprudenza costituzionale, detti limiti sono suscettibili di operare in una duplice forma, ancora una volta discendente dai caratteri propri dell’istituto.
Nel caso che il loro superamento risulti infatti direttamente imputabile alla legge di delegificazione – per aver essa abilitato il regolamento alla disciplina di ambiti ad esso costituzionalmente preclusi, o per averlo autorizzato ad operare in difetto di una previa determinazione di norme generali della materia – il vizio, riguardando appunto l’atto legislativo, deve farsi nelle forme del giudizio di costituzionalità (sentenza n. 427 del 2000). L’invalidità della legge di autorizzazione, nel caso, non può non riflettersi immediatamente sulla fonte regolamentare autorizzata, che ne risulta allora viziata in via indiretta.
Nel caso che invece il loro superamento sia imputabile al solo regolamento autorizzato – per aver questo travalicato l’ambito di competenza attribuitogli o per aver contraddetto le norme generali poste dalla legge – il vizio, riguardando appunto il solo atto regolamentare, deve farsi valere nelle forme conseguenti dell’annullamento o della disapplicazione da parte del giudice comune (ordinanza n. 401 del 2006).”
Possiamo aggiungere (quasi parafrasando le ulteriori considerazioni del Prof. Capotosti, onde poterle riferire alla particolare tipologia di delegificazione che controparte asserisce essersi realizzata nella fattispecie che ci occupa) che, in quanto imposti direttamente dalla Costituzione, questi limiti risultano intrinseci all’istituto, e condizionano dunque necessariamente, a pena di incostituzionalità, l’ambito della procedura di delegificazione che controparte asserisce essersi realizzata nella fattispecie che ci occupa. Di certo, i detti limiti generali portano ad escludere che la fonte secondaria si sia potuta spingere al di fuori degli specifici settori di intervento o oltre i limiti d’altro genere, puntualmente individuati dall'art. 3, comma 12, della l. 335/1995 (sia nel testo in vigore sino al 31/12/2006, sia in quello modificato dall’art. 1, co 763, l. 296/2006 ed in vigore dall’1/1/2007 [nota 19]). Al di fuori di quelli, infatti, le delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense avrebbero sostituito discipline legislative in difetto di norme legislative capaci di autorizzarne l’operato; avrebbero agito, in modo inammissibile, alla stregua di una fonte primaria.
Occorre, a questo punto, analizzare a fondo le succedutesi formulazioni dell'art. 3, comma 12, della l. 335/1995, ricordando che, come regola generale, le delibere delle Casse professionali privatizzate hanno base giuridica e parametro di legittimità nelle disposizioni di legge vigenti all'epoca della loro adozione.
Con riguardo ad entrambe le formulazioni del comma 12 suddetto, l’interprete si trova di fronte ad una alternativa non eludibile. O considera che la previsione (nelle succedutesi versioni) di cui al detto comma 12 abbia abilitato la Cassa Forense ad abrogare, in deroga alla legge, pure la previgente possibilità di ottenere restituzione dei contributi, ed allora l’interprete deve concludere nel senso dell’illegittimità costituzionale della legge abilitante (come dimostrato al Punto 2 della presente memoria); oppure considera che la previsione di cui al detto comma 12 (nelle succedutesi versioni) non abbia conferito una tale abilitazione alla Cassa Forense, ed allora l’interprete deve concludere che il regolamento di Cassa Forense che si pretende abrogativo sia privo al riguardo di ogni potestà di intervento.
Se, peraltro, le succedutesi versioni del comma 12 dell’art. 3 della l. 335/95 pongono l’interprete nella condizione di optare per l’ipotesi di una legge da ritenere incostituzionale, in quanto abilitante un intervento regolamentare vietato, ovvero per l’ipotesi di una legge costituzionalmente conforme, in quanto preclusiva di un tale intervento, è ovviamente necessario optare per la seconda soluzione. Ne si oppone ad una tale opzione interpretativa la formulazione letterale del comma 12 (sia quella in vigore prima dell’1/1/2007 sia quella in vigore successivamente): entrambe le formulazioni si prestano per propria natura ad una interpretazione per così dire “selettiva” (quale è quella proposta nel ricorso introduttivo del presente giudizio), che qualifichi cioè la norma operativa nei soli confronti di quegli avvocati (aspiranti alla restituzione dei contributi versati alla Cassa) per i quali l’intervento della fonte regolamentare (che potremmo definire “di delegificazione in danno”) non possa sollevare evidenti profili di contrasto frontale con disposizioni costituzionali.
Ne deriva quindi –secondo l’interpretazione più corretta in quanto conforme al quadro costituzionale di riferimento- che il comma 12 dell’art. 3 della l. 335/95 deve dirsi non legittimante la delegificazione per tutte quelle ipotesi nelle quali la delegificazione stessa si sia realizzata in concreto attraverso delibere della Cassa forense che abbiano privato gli avvocati del diritto, prima loro concesso dalla legge, alla restituzione dei contributi versati a Cassa forense [nota 20].
Ciò appare tanto più necessario con riguardo alla posizione particolare dell'avv. Maurizio Perelli, rispetto alla quale salta agli occhi il privilegio previdenziale accordato dall’art. 22, comma 4, della l. 576/80 a diverse categorie di avvocati (taluni dei quali svolgono, addirittura, attività dichiarate dalla legge incompatibili con l'esercizio della professione forense [nota 21]).
Né si dica che l’eliminazione del diritto degli avvocati di chiedere la restituzione di tutti i contributi versati a Cassa forense è una necessità assoluta, conseguente all'opzione esercitata da Cassa forense per il sistema contributivo. Infatti, l’art. 3, comma 12, della l. 335/1995 prevede “Gli enti possono optare per l'adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge” e attraverso tali parole designa la scelta del sistema contributivo come scelta integrale e non come scelta limitata a determinati casi e come contrappeso per l’eliminazione di facoltà preesistenti, quali i rimborsi in questione [nota 22].
In definitiva, in ordine ai limiti della possibile “delegificazione” e della correlata autonomia di Cassa Forense in materia, pare potersi concordare con Cass. 13607/2012, che al punto 6 della motivazione scrive: “In realtà occorre tener conto del carattere tutt'affatto speciale dei regolamenti di delegificazione previsti in generale, e disciplinati nella formazione, dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, e <<destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite>> (C. Cost. n. 376 del 2002). Tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale di tal che la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione. Si ha pertanto che, quando il legislatore "delegante" ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente (ad es. per i regolamenti di organizzazione degli enti pubblici non economici di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 27, facoltizzati a dettare norme "anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano"). Ciò invece l'art. 2, comma 2, cit. in realtà non ha affatto previsto e quindi l'emanando Regolamento della Cassa non era facoltizzato a derogare a disposizioni dettate proprio per le Casse "privatizzate", quale poi sarebbe stato la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l'esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall'autonomia normativa delle Casse privatizzate. Ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l'opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) e nient'affatto il Regolamento della Cassa.” .
Punto 4
La mancata abrogazione del diritto, invocato dall’avv. Maurizio Perelli, alla restituzione dei contributi versati a Cassa forense è confermata dalla più recente giurisprudenza di merito (Corte d'appello Roma, n. 2219/2014) e di Cassazione (Cass., n. 12338/2016 e Cass. SS.UU. n. 17742/2015).
Importanti conferme della validità delle argomentazioni del ricorrente si trovano nella più recente giurisprudenza di merito e di Cassazione.
Occorre citare, in primo luogo la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2219 del 18/6/2014, che ha respinto un ricorso della Cassa forense avverso sentenza che aveva riconosciuto il diritto di un avvocato (cessato dall'iscrizione senza aver maturato i 5 anni di contribuzione necessari per acquisire il diritto a pensione contributiva) alla restituzione, ex art. 21 l. 576/1980, dei contributi soggettivi “legittimamente” versati [nota 23]. La spiegazione data da tale sentenza alla restituibilità dei contributi soggettivi “legittimamente” versati è pienamente condivisibile, e per brevità ad essa ci si riporta, fuorché per l'affermazione che “il generale principio di solidarietà ... resterebbe soddisfatto con la irripetibilità dei contributi aggiuntivi specificamente diretti a finanziare la previdenza di categoria”.
Infatti, oltre alla restituibilità di tutti [nota 24] i contributi soggettivi (per l'avvenuta cancellazione dalla Cassa prima d'aver maturato diritto a pensione contributiva), dovrà riconoscersi, in forza dell'ultimo periodo dell'art. 22 della l. 576/80, anche la restituibilità di tutti i contributi non soggettivi (anche di quelli versati dall'avv. Maurizio Perelli, doverosamente, in costanza di quella incompatibilità dell'esercizio della professione reintrodotta con legge 339/03 e che venne dichiarata solo dalla sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 27266/2013).
Tra le recenti sentenze della Cassazione si consideri, Cass., n. 12338/2016, depositata il 15/6/2016, che ha respinto il ricorso promosso dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC) riguardo alla questione della legittimità della delibera dell’assemblea dei delegati di quella Cassa che nell’ottobre 2008 aveva istituito, per il quinquennio 2009-2013, un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici. La sentenza della Cassazione n. 12338/2016, esprimendo principi validi riguardo a tutte le casse previdenziali privatizzate dei professionisti, può invocarsi dal ricorrente per più motivi:
A) perché ha affermato che le delibere regolamentari adottate dalle Casse previdenziali dei professionisti dopo l’entrata in vigore della l. 335/95 hanno quale base giuridica e parametro di legittimità l’art. 3, co 12, di quella legge, nella formulazione vigente alla data di adozione delle singole delibere in questione;
B) perché ha affermato che “i provvedimenti adottati dalle Casse di previdenza <<allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio>> devono garantire l’intangibilità degli effetti derivanti, per gli assicurati le cui prestazioni pensionistiche non siano state ancora acquisite, dalle quote di contribuzione già versate e, quindi, dalla misura delle prestazioni potenzialmente maturate in itinere”;
C) perché ha affermato che (ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 509/94 che si collega naturalmente all’art. 3, co 12, della l. 335/1995) la gestione economico finanziaria delle Casse professionali privatizzate “deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico”.
Le affermazioni sub A) e B) avallano la tesi del ricorrente circa l'impossibilità di riconoscere alle delibere del Comitato dei delegati di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, il potere di abrogare i diritti restitutori del ricorrente: ciò per l'insuperabilità dei limiti posti dal testo dell'art. 3, comma 12, della l. 335/1995, come vigente sino al 31/12/2006.
Le affermazioni sub C) consentono al ricorrente di evidenziare come le delibere di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, abbiano preteso di cancellare il diritto restitutorio per cui è causa senza neppure dar conto della loro coerenza con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale, come richiesto dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 509/1994 [nota 25].
Si consideri, inoltre, la sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 17742/2015. Tale sentenza (decidendo nei confronti della Cassa previdenziale dei ragionieri ma esprimendo un principio valido anche nei confronti della Cassa forense) ha ritenuto che -in presenza di una oggettiva ambiguità del comma 763 dell'art. 1 della l. 296/2006, tale da giustificare l'intervento di interpretazione autentica- la norma contenuta nel comma 488 dell'art. 1 della l. 147/2014, ha avuto una “intrinseca funzione di chiarificazione del dettato normativo”, e che “tale chiarificazione non ha, però, il contenuto di rendere efficaci e legittime indistintamente tutte le delibere adottate dal comitato dei delegati … ma attiene alla specifica determinazione del contenuto del principio del pro rata rilevante, in relazione al momento della maturazione del diritto a pensione, prima e dopo l'entrata in vigore della l. 27 dicembre 2006, n. 296” (vedi pag. 25 della sentenza).
In relazione alla presente causa, le affermazioni di Cass., SS.UU. 17742/2015 avallano la tesi del ricorrente per cui il comma 12 dell'art. 3 della l. 335/1995, nel testo in vigore fino al 31/12/2006:
a) non consente di riconoscere alle delibere di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, l'efficacia abrogativa dei diritti restitutori vantati dall'avv. Maurizio Perelli,
b) garantisce, anzi, non solo le prestazioni previdenziali già attribuite ma anche le posizioni di vantaggio maturate e non ancora attribuite alla data del 31/12/2006 e dunque garantisce anche la possibilità di ottenere (ai sensi degli artt. 21 e 22, ultimo periodo della l. 576/1980) la restituzione dei contributi dal ricorrente versati a Cassa forense fino al momento in cui esercitò, senza alcuna incompatibilità, la professione forense (31/12/2006).
Il che, ovviamente, non esclude che il ricorrente abbia diritto pure alla restituzione (ai sensi dell''art. 22, ultimo periodo, della l. 576/1980) dei contributi versati a Cassa forense a partire dall'1/1/2007. La fonte delle restituibilità di tali contributi è il fatto d'esser stati versati in costanza di incompatibilità: è lo stesso art. 4, comma 1, del regolamento generale di Cassa forense, nel testo oggi in vigore, a riconoscerlo.
Punto 5
In particolare sul principio solidaristico e la necessaria ragionevolezza e proporzionalità (pena l'incostituzionalità) della regolazione legislativa della previdenza e assistenza forense.
E' vero che la previdenza forense, pur se non assoggettata al criterio della progressività [nota 26], realizza anche un principio solidaristico, per cui il contributo non va a esclusivo vantaggio del singolo che lo versa ma anche di tutti gli avvocati (sicché gli avvocati con redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore degli avvocati con redditi più bassi).
E' però anche vero che:
- 1) al prelievo previdenziale forense corrisponde un rapporto che si riconduce alla logica assicurativa, in cui, a fronte delle prestazioni effettuate (contributi), aventi la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati, esistono controprestazioni (ex multis Corte cost., sentenze n. 167 e n. 173 del 1986 e n. 202 del 2006);
- 2) come insegna Corte cost. 132/1984, la restituzione dei contributi non è in contraddizione con il tipo solidaristico della previdenza categoriale;
- 3) come insegna Cass., sez. Lav., n. 5098/2003, il principio di solidarietà che impronta di sé tutto il vigente sistema previdenziale a ripartizione, comporta che, nell'ambito della medesima categoria assistita, il livello delle prestazioni sia sganciato, entro certi limiti, dall'ammontare delle contribuzioni a vantaggio dei soggetti meno fortunati, ma non impone certo che il peso delle prestazioni previdenziali debba essere posto a carico di soggetti non aventi diritto alle medesime prestazioni previdenziali.
Conseguentemente dovrebbero riconoscersi incostituzionali le disposizioni di legge che consentissero a delibere del Comitato dei delegati di Cassa Forense di azzerare del tutto le controprestazioni a favore del contribuente-avvocato e, per di più, senza che ciò avvenga nel quadro di una coerente e ragionevole realizzazione del sistema solidaristico cui deve essere improntata la previdenza forense [nota 27].
In particolare, sarebbero incostituzionali, per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto incoerenti e irragionevoli nella realizzazione del sistema solidaristico (come -in aggiunta a quanto già detto al punto 3 della presente memoria- evidenziano gli innovativi Regolamenti “di Cassa forense di seguito indicati), le disposizioni di legge che si ritenesse abbiano consentito alle delibere di delegificazione di Cassa forense del 2004, invocate da controparte, di azzerare del tutto i “corrispettivi” previdenziali (nel caso che ci occupa, il diritto al rimborso dei contributi che era stato precedentemente garantito con disposizione di legge speciale) di avvocati, come l’Avv. Maurizio Perelli, penalizzandoli esclusivamente in forza della reintroduzione di una causa di incompatibilità operata dalla legge 339/03. L'incostituzionalità per incoerenza e irragionevolezza sarebbe evidentissima, visto che nel contempo altra normativa di rango legislativo consente di introdurre, con semplici delibere e regolamenti della Cassa, trattamenti di favore per categorie di avvocati che non sono affatto maggiormente meritevoli di tutela (rispetto all'avv. Maurizio Perelli, cancellato dall'albo per l'incompatibilità imprevedibilmente reintrodotta con l. 339/03) e in particolare consente:
---- che attraverso il “Regolamento per le prestazioni previdenziali” approvato dal Comitato dei delegati il 5/9/2012 e poi approvato con ministeriale del 9/11/2012 [nota 28]: a) sia previsto un meccanismo di flessibilità che prevede la possibilità vantaggiosa di uscita anticipata dal lavoro in due modi: anticipo del pensionamento a 65 anni, con oneri o senza oneri a carico del richiedente, a seconda che non abbia raggiunto o abbia raggiunto il tetto dei 40 anni di contribuzione; b) sia previsto, all’art. 14, un sistema che fa salvi i diritti acquisiti con il principio del pro rata [nota 29];
---- che, attraverso il “Regolamento dei contributi”, approvato dal Comitato dei delegati il 5/9/2012, si preveda tutta una serie di agevolazioni, benefici ed esoneri per situazioni particolari (offrendo, ad esempio, esoneri dei contributi minimi per le avvocatesse in maternità; un’ampia gamma di flessibilità per i giovani e per i nuovi iscritti all’ente previdenziale, quand’anche meno giovani, se prima erano già iscritti all’albo degli avvocati, addivenendo ad una riduzione del contributo soggettivo minimo fino al 75% in determinati casi e nulla essendo dovuto a titolo di contributo integrativo minimo, salvo il 4% su quanto effettivamente fatturato);
---- che attraverso il “Regolamento per l’erogazione dell’assistenza” approvato dal Comitato dei delegati il 24/7/2015 e poi approvato con nota ministeriale del 25/9/2015 (G.U. n. 240 del 15/10/2015) si realizzi addirittura un “cambio di paradigma”, un “nuovo modello di welfare che associa alle misure tradizionali di intervento il sostegno al reddito e all’esercizio della professione forense” [nota 30] prevedendo innovative e più ampie prestazioni “in caso di bisogno”, “a sostegno della famiglia”, “a sostegno della salute”, “a sostegno della professione”, tutte rese possibili per il fatto che la quantità di risorse da destinare all’assistenza viene elevato da venti a sessanta milioni annui;
---- che attraverso il “Regolamento per il riscatto di cui all’art. 24 della legge 141/1992”, approvato dal Comitato dei delegati il 19/12/2014 e poi approvato con nota ministeriale del 17/3/2015 (G.U. n. 84 dell’11/4/2015) si permetta agli avvocati di rateizzare l’importo residuo per il riscatto della propria pensione fino ad un massimo di dieci anni (in passato il termine massimo consentito era di cinque anni), pagando, inoltre, meno interessi di quanto sia avvenuto finora (2,75% annuo, anziché 4% previsto in precedenza) e con l’ulteriore vantaggio che gli anni per i quali è stato esercitato il riscatto comportano un aumento di anzianità di iscrizione e contribuzione pari al numero degli anni riscattati;
--- che (successivamente al venir meno, a decorrere dal 2013, del potere di accertamento della continuità professionale da parte della Cassa [nota 31]), il Consiglio di amministrazione di Cassa forense, attraverso delibera del 25/9/2014, abbia considerato validi ai fini pensionistici anche gli anni 2009 e 2010 già dichiarati inefficaci nell'ultima precedente attività di revisione della continuità professionale, relativa al periodo 2006/2010, a condizione che alla dichiarazione di inefficacia non sia seguito il rimborso del contributo soggettivo [nota 32].
NOTE
NOTA 1 - L’art. 1 del Protocollo n. 1 recita: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende ”.
NOTA 2 - - L’articolo 14 della CEDU stabilisce il principio secondo cui “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella [presente] Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”. L’applicazione dell’articolo 14 non richiede necessariamente la violazione di uno dei diritti materiali garantiti dalla Convenzione: è sufficiente che i fatti della causa rientrino nell’ambito di almeno uno di questi articoli. In conseguenza di questo effetto amplificativo, il divieto di discriminazione consacrato dall’articolo 14, supera l’ambito della disposizione in senso stretto (“il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione” e nei suoi Protocolli), e ricomprende ugualmente i diritti additivi, rilevanti del campo di applicazione generale di uno degli articoli della Convenzione o dei suoi Protocolli, che uno Stato ha deciso di tutelare su base volontaria. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, la discriminazione consiste nel trattare in modo diverso, senza una giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano in situazioni similari. E ciò vale, del pari, qualora, senza i medesimi giustificati motivi, si ometta di trattare in modo diverso persone che si trovano in situazioni significativamente diverse.
NOTA 3 - In tal senso, decisione sulla ricevibilità del 6/7/2005, Stec ed altri contro Regno Unito; sentenze 30/9/2003, Koua Poirrez contro Francia; 16/9/1996, Gaygusuz contro Austria; 26/2/1993, Salesi contro Italia.
NOTA 4 - - Sentenza 16 marzo 2010, Oršuš ed altri contro Croazia.
NOTA 5 - Sentenza 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania.
NOTA 6 - Vedi, ad esempio, la sentenza del 15/4/2014, Stefanetti contro Italia, specialmente §§ 52; 53; 55 <ove richiama il pregiudizio del diritto pensionistico nella sua essenza di cui al punto 63 della sentenza Maggio contro Italia>; 57; 58; 59; 60; 61; 63; 65; 66; 67. Vedi anche la sentenza del 2/7/2013 sul caso N.K.V. contro Ungheria).
NOTA 7 - Sulle sentenze della Corte EDU richiamate nel testo ed altre vedi, più ampiamente, l'articolo di Gina Turatto "Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in rapporto ai temi della previdenza e la protezione sociale” (http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Turatto__definitivo__giurisprudenza_Corte_europea_previdenza_e_protezione_sociale.pdf )
NOTA 8 - Non solo i contributi indicati dall'art. 21, comma 1, della legge 576/1980, ma tutti i contributi versati, poiché di tutti i contributi prevede il rimborso l'ultimo comma dell'art. 22 della l. 576/1980 ove si tratti di contributi che, come nel caso che ci occupa, siano relativi ad anni di iscrizione alla Cassa che sia ormai il giudice a dover, incidentalmente, dichiarare inefficaci.
NOTA 9 - Corte cost. 108/2016 “dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 44 e 45 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i contratti di conferimento delle mansioni superiori di direttore dei servizi generali ed amministrativi stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore”.
NOTA 10 - Si legge in Cass. 12338/2016, in fine: "Non incide, d'altra parte, sulla soluzione della questione in esame il recente intervento legislativo (art. 1, comma 488, L. n. 147/2013), che pone come condizione di legittimità degli atti e delle deliberazioni adottati dagli enti di cui all'art. 1, co 763, L. n. 296/2006, che essi siano "finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine", ciò che sicuramente non costituisce un connotato del contributo in esame ... ".
NOTA 11 - Si legge nell''ordinanza della Cassazione, SS.UU. n. 24689/2010, di rimessione in Corte costituzionale:
"Nella specie -effettuato il necessario bilanciamento che si deve compiere tra il perseguimento dell'obiettivo della nuova legge e la tutela da riconoscere al legittimo affidamento nella sicurezza giuridica nutrita da quanti, sulla base della normativa precedente, hanno conseguito una situazione sostanziale consolidata- il sacrifico imposto dalla L. n. 339 del 2003, ai soggetti che già si trovavano nello stato di avvocati part time potrebbe rivelarsi ingiustificato e, perciò, irragionevole traducendosi nella violazione del legittimo affidamento riposto nella possibilità di proseguire nel tempo nel mantenimento di dello stato. Non è da escludere che l'assetto degli interessi in questione sia stato realizzato con la nuova normativa in esame sacrificando situazioni soggettive ormai consumatesi; ciò potrebbe non corrispondere al più volte richiamato criterio di ragionevolezza. Del pari potrebbe ritenersi che l'affidamento degli avvocati part time nella sicurezza giuridica sia stato leso dalla nuova legge per aver questa inciso, con regolamento irrazionale, su situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori.
Ben potrebbe quindi ravvisarsi la violazione - ad opera della L. n. 339 del 2003 - dei principi di legittimo affidamento e di "certezza del diritto" con riferimento alla posizione di coloro che avevano già effettuato la loro scelta sulla base della preesistente normativa dettata dalla L. n. 662 del 1996. La detta scelta - effettuata previa ponderata valutazione di conseguenze, portata e prospettive - è stata compiuta sulla base di una precisa previsione normativa, ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale [Corte cost. 189/2001], in virtù di un nuovo indirizzo legislativo chiaramente e logicamente di lungo termine.
Ne consegue che appare non manifestamente infondata la tesi dei ricorrenti secondo cui la nuova normativa dettata dalla legge n. 339 del 2003 non avrebbe tenuto nel debito conto delle situazioni già in atto venutesi a creare in applicazione della precedente normativa, sconvolgendo in tal modo preesistenti e ormai consolidati equilibri; l'aspettativa dei ricorrenti alla conservazione dello status di dipendenti pubblici part time e di avvocati (attività, quest'ultima, esercitata in via continuativa per molti anni) era pervenuta ad un livello di consolidamento della propria scelta di vita di impiegato pubblico part time e di avvocato - anche a seguito delle sopra citale pronunce della Corte Costituzionale - così elevato da creare quell'affidamento ritenuto dal giudice delle leggi di valore costituzionalmente protetto. I ricorrenti avevano acquisito la sicurezza della permanenza nel tempo dello status di impiegato pubblico part time e di avvocato.
Risultano palesi gli effetti pregiudizievoli per soggetti che avevano: fatto sicuro e giustificato affidamento di mantenere nel tempo la nuova situazione lavorativa; effettuato investimenti per iniziare la nuova attività professionale; modificato il proprio stile di vita; sacrificato possibili miglioramenti nella carriera di pubblico dipendente. Ne discende la lesione di legittime aspettative e di affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica.
In questa prospettiva non appare sufficiente ad escludere la detta lesione la deroga temporale prevista dalla legge n. 339 del 2003, art. 2, in ordine all'efficacia del regime di incompatibilità con la concessione di un termine di tre anni per esercitare l'opzione imposta tra pubblico impiego ed esercizio della professione forense e con possibilità nei successivi cinque anni di essere riammessi in servizio. Si tratta di una misura inidonea da sola ad evitare il sorgere del dubbio circa il "vulnus" ai segnalati principi costituzionali riducendosi la tutela ai pubblici dipendenti iscritti all'albo degli avvocati ad un limitato periodo con successivo ripristino di un divieto rimosso da una precedente legge. Donde sembra sussistere la necessità di proporre alla Corte Costituzionale i rilevati dubbi di legittimità costituzionale.
Si deve dunque concludere per la rilevanza e la non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale della L. n. 339, artt. 1 e 2 - sia in relazione ai parametri degli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost., sia in riferimento a quelli della ragionevolezza intrinseca della legge, sub art. 3 cpv. Cost. - nella parte in cui non prevedono che il regime di incompatibilità stabilito nell'art. 1 non si applichi ai dipendenti pubblici a tempo parziale ridotto non superiore al 50 per cento del tempo pieno, già iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima L. n. 339 del 2003, prevedendo invece, all'art. 2, solo un breve periodo di "moratoria" per l'opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione.”
NOTA 12 - - Censura analoga sviluppa la sentenza del TAR Lazio, n. 7353/2016 del 24/6/2016, con riguardo al diverso tema dell'obbligatorietà dell'iscrizione alla Cassa.
NOTA 13 - Censura analoga sviluppa la sentenza del TAR Lazio, n. 7353/2016 del 24/6/2016, con riguardo al diverso tema dell'obbligatorietà dell'iscrizione alla Cassa.
NOTA 14 - Si trattava della q.l.c. dell'art. 37 della l. 488/1999, nella parte in cui stabiliva che dal gennaio 2000, e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, complessivamente superiori a 74.505 euro, fosse dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà nella misura del 2%.
NOTA 15 - Sono estensibili alla eccezione di incostituzionalità ex art. 23 Cost. che si solleva nella presente causa le considerazioni di Paola Torretta, in "Riserva di legge e prestazioni patrimoniali imposte: un tentativo di frenare la ‘relativizzazione’ della garanzia ex art. 23 Cost.? Note a margine di Corte cost. 190/2007" ( http://archivio.rivistaaic.it/giurisprudenza/decisioni2/autori/torretta.html ): "... l’accoglimento della questione per violazione dell’art. 23 Cost. ... fa leva sull’ "inadempimento" del legislatore rispetto alla necessità che siano indicati, o comunque desumibili, dal dettato normativo di rango primario gli "elementi essenziali" di cui consta l’accezione relativa della riserva di legge. O, detto altrimenti, scaturisce dall’accertata incompiutezza di una disciplina che non enuncia esplicitamente i criteri che delineano la portata di una prestazione patrimoniale e, allo stesso tempo, trascura di fornire norme-parametro "indirette" atte a restringere la discrezionalità del potere impositivo nell’attività di quantificazione dell’onere preteso. ... La sentenza 190/2007 si caratterizza per il blocco posto dalla Consulta ad una sbrigativa “surrogazione”, con moduli procedimentali, degli indirizzi con cui la legge deve (direttamente o indirettamente) supportare e delimitare il compito di definire la misura degli obblighi imposti. ... Nella fattispecie qui analizzata, la Corte riconosce, infatti, che il modulo procedimentale contemplato dalla legge, e integrato dall’approvazione interministeriale della delibera del Consiglio di amministrazione ONAOSI, non può fungere da fattore di inveramento della riserva di legge, in quanto non "entrerebbe" nella concreta determinazione dell’onere imposto, ma rimarrebbe confinato ad una attività di vigilanza sulla gestione e sul bilancio dell’ente interessato, con la conseguente incapacità di assurgere a limite (procedurale) adeguato a dare sostanza garantistica all’istituto prescritto dall’art. 23 Cost."
NOTA 16 - L'ultimo comma dell'art. 21 della l. 576/80 prevede: "In caso di nuova iscrizione, l'iscritto può ripristinare il precedente periodo di anzianità restituendo alla Cassa le somme rimborsate, con l'aggiunta dell'interesse del 10 per cento e la rivalutazione secondo la tabella di cui all'art. 16 a decorrere dalla data dell'avvenuto rimborso”.
NOTA 17 - Recita l’art. 21 della l. 576/80:
“Restituzione dei contributi. Coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all'art. 10, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione, esclusi quelli di cui alla tabella E allegata alla L. 22 luglio 1975, n. 319 .
Sulle somme da rimborsare è dovuto l'interesse legale dal 1° gennaio successivo ai relativi pagamenti.
Il rimborso di cui ai precedenti commi spetta anche agli eredi dell'iscritto che non abbia maturato diritto a pensione, semprechè non abbiano titolo alla pensione, indiretta.
In caso di nuova iscrizione, l'iscritto può ripristinare il precedente periodo di anzianità restituendo alla Cassa le somme rimborsate, con l'aggiunta dell'interesse del 10 per cento e la rivalutazione secondo la tabella di cui all'art. 16 a decorrere dalla data dell'avvenuto rimborso.”
Recita l’art. 22, ultimo comma, della l. 576/80:
“L’art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 319, è così modificato: << La giunta esecutiva della Cassa, sulla scorta dei criteri fissati dal comitato dei delegati, può provvedere periodicamente alla revisione degli iscritti con riferimento alla continuità dell’esercizio professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti dell’anzianità di iscrizione i periodi per i quali , entro il medesimo termine, detta continuità non risulti dimostrata. Sono rimborsabili a richiesta i contributi relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci>>”.
NOTA 18 - - Si riporta un brano dal punto 4 del parere reso il 10/5/2012 dal Prof. Capotosti al CNF in tema di applicabilità al CNF stesso dell'art. 3, co 5, lettera f) del decreto-legge 13/8/2011, n. 138.
NOTA 19 - Testo dell'art. 3, comma 12, della l. 335/1995, in vigore fino al 31/12/2006:
"12. Nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi, provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del “pro rata” in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati all'articolo 1, comma 17, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e al medesimo articolo 1, comma 18, per gli altri enti. Ai fini dell'accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 25 e 26, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive, e al medesimo articolo 1, comma 28, per gli altri enti. Gli enti possono optare per l'adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge."
Testo dell'art. 3, comma 12, della l. 335/1995, in vigore dall’1/1/2007:
"12. Nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. Il bilancio tecnico di cui al suddetto articolo 2, comma 2, è redatto secondo criteri determinati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le associazioni e le fondazioni interessate, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio nazionale degli attuari nonché dal Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP). In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal citato articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l'ente interessato e la valutazione del Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), possono essere adottate le misure di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati all'articolo 1, comma 17, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e al medesimo articolo 1, comma 18, per gli altri enti. Ai fini dell'accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 25 e 26, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive, e al medesimo articolo 1, comma 28, per gli altri enti. Gli enti possono optare per l'adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge."
NOTA 20 - Altrimenti si avrà incostituzionalità della legge delegante nella parte in cui non esclude la possibilità di abrogare, con delibere della Cassa, il diritto alla restituzione dei contributi versati dagli avvocati che non abbiano maturato un quinquennio di valida contribuzione e che dunque saranno privi di pensione. Una tale limitazione dell’efficacia del regolamento abrogativo pare suggerita pure dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 108/2016, la quale, in fattispecie per alcuni versi analoga a quella che ci occupa, è pervenuta a dichiarazione di incostituzionalità di norma di legge “nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione” taluni soggetti affidati in forza di leggi incentivanti precedenti e poi abrogate. Vedasi pure Corte cost. 190/2007, che dichiarò l'incostituzionalità dell'art. 2, lettera E, della legge 306/1901, come sostituito dall'art. 52, co 23, l. 289/2002 nella parte in cui prevede che la misura del contributo obbligatorio di tutti i sanitari iscritti agli ordini professionali italiani è stabilita dal consiglio di amministrazione dell'ONAOSI con regolamenti soggetti all'approvazione dei ministeri vigilanti.
NOTA 21 - Recita l'art. 22, comma 4, della l. 576/1980, nel testo modificato dall'art. 2, l. 175/1983: "Gli iscritti alla Cassa che diano o siano stati membri del Parlamento nazionale o europeo, dei consigli regionali, della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura o presidenti delle province o sindaci dei comuni capoluoghi di provincia o con più di 50.000 abitanti sono esonerati, durante il periodo di carica dal requisito della continuità dell'esercizio professionale. Essi, per il medesimo periodo, possono supplire alle deficienze di reddito, rispetto a quello massimo conseguito prima della carica, rivalutato a norma dell'art. 15 in misura pari al 75 per cento, versando volontariamente il contributo di cui all'art. 10, rapportato al reddito stesso, nonché il contributo di cui all'art. 11 rapportato ad un volume d'affari pari a quindici volte il contributo soggettivo complessivamente versato. Restano comunque fermi i contributi minimi di cui agli artt. 10 e 11. Ai predetti iscritti non si applica la disposizione di cui all'art. 2, quarto comma.". Si noti (per evidenziare la portata del privilegio) che l'art. 2, quarto comma pone un limite massimo alla misura delle pensioni minime. Si consideri , inoltre, come l'art. 22, comma 4, della l. 576/1980 è stato attuato dal Regolamento di esecuzione approvato dal Comitato dei delegati di Cassa forense con deliberazione n. 11 del 23/3/1985.
NOTA 22 - Si concorda, al riguardo, con Corte app. Roma, n. 2219/2014.
NOTA 23 - Scrive Corte d'appello Roma in sentenza 2219/2014: " SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Con ricorso in appello depositato il 18 agosto 2009 la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense censura la sentenza in oggetto, che ha riconosciuto e dichiarato il diritto di G.M.R., di cui -in data 27 dicembre 2001- veniva deliberata la cancellazione dall'Albo, alla restituzione dei contributi soggettivi versati alla Cassa nel periodo 1 gennaio 1998-27 dicembre 2001. La G., con il ricorso di primo grado, sostiene 1) il suo diritto alla restituzione secondo quanto disposto dall'art. 21 l. 576/1980 per i soggetti cessati dall'iscrizione senza aver maturato il diritto a pensione, nonchè 2) l'illegittimità della deliberazione della deliberazione del 13 novembre 2004 con la quale il Comitato dei Delegati aveva modificato l'art. 4 del Regolamento della Cassa negando la possibilità di restituzione e stabilendo comunque il termine per la restituzione al 30 novembre 2004. La Cassa deduce la legittimità della delibera richiamando il principio solidaristico e la propria autonomia gestionale. Il Tribunale ha accolto la domanda ritenendo che il principio solidaristico non escluda che possa essere disciplinata la restituzione in base alla legge 576/1980 nel senso anteriore alla modifica dell'art. 4 del Regolamento, mentre la potestà normativa [della Cassa] non può spingersi fino a incidere sulla disciplina normativa dei contributi e delle prestazioni, potendo farlo solo sulla variazione delle aliquote. In sede di appello la Cassa Forense deduce che la delibera ha introdotto un nuovo sistema, quello contributivo, per cui i contributi non sarebbero stati inutilmente versati, ed insiste sull'autonomia organizzativa, contabile e finanziaria della Cassa nonché sull'effetto sanante delle determinazioni censurate introdotto dalla legge finanziaria 2007, la quale, ridisciplinando i poteri ordinamentali della Cassa, avrebbe fatti salvi gli atti e le delibere adottati prima della sua entrata in vigore. L'appellata si costituisce in giudizio resistendo al gravame e chiedendone il rigetto. All'udienza del 3 marzo 2014 la causa viene decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato. L'art. 21 della legge 576 del 1980 prevede la restituzione dei contributi soggettivi a coloro che non hanno maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, ed è questa la situazione in cui versa l'odierna appellata. Recita testualmente il citato art. 21: <<Coloro che cessano dalla iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all'art. 10 ...>>. Si osserva dunque in primo luogo che tale norma, prevedendo la restituzione non di tutti i contributi versati ma solo di quelli soggettivi di cui all'art. 10, non si pone in contrasto con il generale principio di solidarietà, che resterebbe soddisfatto con la irripetibilità dei contributi aggiuntivi, specificamente diretti a finanziare la previdenza di categoria; in armonia con tale disposizione, l'art. 4 del Regolamento della Cassa aveva previsto la restituzione dei contributi soggettivi versati dall'iscritto in base alle vigenti normative in caso di cancellazione dall'albo. In secondo luogo si osserva che, in ogni caso, il principio solidaristico, che vuole il versamento dei contributi finalizzato a un interesse collettivo, senza relazione di sinallagmaticità tra obbligazione contributiva ed erogazione di prestazioni previdenziali, può essere derogato ove apposite norme attribuiscano a determinati soggetti il diritto alla restituzione dei contributi versati, quale appunto la norma di cui all'art. 21 l. 576/80 invocata dall'appellata: tale norma disciplina una materia oggetto di riserva di legge, alla quale l'ente, pur privatizzato con conseguente autonomia gestionale, è pertanto vincolato, senza possibilità che il proprio regolamento interno possa derogare o abrogare quanto previsto dalla norma antecedente alla privatizzazione di cui alla legge n. 335/95. Si rammenta infatti che le norme di rango primrio sono l'unica fonte abilitata ad incidere in materia previdenziale, trattandosi di materia coperta da riserva di legge statale, ai sensi dell'art. 117, co 2, lett. o) della Costituzione. Numerosi arresti della Suprema Corte hanno invero delimitato la potestà normativa degli enti privatizzati, sostanzialmente confinandola nell'ambito normativo di cui all'art. 3, comma 12, della legge n. 335/95, secondo il quale gli enti, nell'esercizio dell'autonomia e in esito alle risultanze di bilancio, possono esclusivamente adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, riparametrazione dei coefficienti di rendimento o modificazioni di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate, nonchè l'eventuale opzione per l'adozione del regime contributivo (Cass. 22240/04; 11792/05; 7010/05 e 17783/05). E' stato altresì precisato che l'elencazione dei provvedimenti di cui al citato art. 3, comma 12, della legge n. 335/95 è tassativa (Cass. 22240/2004 li definisce un "numeris clausus") e che non è ammissibile una modificazione dei requisiti d'accesso ai trattamenti pensionistici, essendo unicamente consentita una modificazione dei criteri di determinazione degli stessi. Sulla scorta del dato normativo di cui all'art. 3, comma 12, legge cit., dunque, la modifica regolamentare de qua (non rimborsabilità dei contributi legittimamente versati) non costituisce riparametrazione delle aliquote contributive, nè variazione dei criteri di determinazione dei trattamenti, dei loro coefficienti di rendimento, di tal che la stessa non può farsi rientrare tra le modifiche consentite dalla legge. Ad avviso della Corte non vale a ricondurre tale modifica nell'alveo dell'art. 3 la contestualità della previsione normativa dell'opzione contributiva e regolamentare della non restituibilità dei contributi, pur ritenuta espressione di una coerenza del sistema da Cass. n. 24202/2009. Trattasi invero di modifica concernente una materia (la disciplina dei rimborsi retributivi) ontologicamente diversa da quella del criterio di determinazione del trattamento pensionistico (pur potendone di fatto costituire una possibile conseguenza) e comunque regolabile, si ripete, solo mediante intervento legislativo. Dunque, la norma del 1980 potrà pur essere ritenuta non coerente con l'attuale sitema contributivo introdotto dalla legge del 1995, ma di sicuro non può essere derogata da fonti di tipo secondario, nemmeno ove le relative determinazioni risultino avallate dall'organo di vigilanza attraverso provvedimenti di approvazione, incapaci di incidere sulla disciplina della gerarchia delle fonti in difetto di delegificazione. Nel nostro caso vale peraltro un'ulteriore osservazione: ove anche volesse condividersi l'assunto secondo cui il sistema contributivo di calcolo della pensione escluda di per se la possibilità di domandare la restituzione dei contributi soggettivi e possa quindi costituire valida giustificazione alla delibera modificativa in contestazione, è un fatto pacifico che nel caso di specie parte appellata non possa accedere al trattamento pensionistico contributivo, avendo maturato meno dei cinque anni richiesti come requisito contributivo minimo . Se quindi l'abrogazione della norma di cui all'art. 21 l. 576/80 (in tesi conseguente all'opzione della Cassa per il sistema contributivo, con contestuale previsione regolamentare di non rimborsabilità dei contributi) si giustifica in presenza di una forma di tuttela previdenziale atta a valorizzare la contribuzione versata, nel caso di specie tale valorizzazione non si realizzarebbe nemmeno, non potendo l'interessata beneficiare del trattamento contributivo e restando escluso (così Cass. 5098/2003) che il principio solidaristico comporti l'aggravio del peso delle prestazioni previdenziali a carico di soggetti non aventi diritto alle medesime prestazioni previdenziali, le cui forme e modalità di partecipazione sono in ogni caso determinate dalla legge. Rimane in ultimo da considerare la totale estraneità all'oggetto della delibera contestata del preteso effetto sanante di cui all'art. 1, co 763, della legge Finanziaria 2007, il quale non può che riferirsi (dalla semplice lettura del testo della norma) alla disciplina delle materie di nuova introduzione, riguardanti essenzialmente i bilanci tecnici degli enti previdenziali privatizzati (stabilità delle gestioni previdenziali in un arco temporale non inferiore a trenta anni e tecniche di redazione del bilancio) , dopo le quali è inserita la clausola di salvezza degli atti precedenti ("Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge"). Sulla base di quanto sin qui esposto, l'appello deve essere rigettato."
NOTA 24 - Secondo controparte (note autorizzate del 7/4/2015, pag. 15) la restituzione dei contributi versati dall'avv. Maurizio Perelli, non solo non potrebbe riguardare il contributo integrativo, il contributo di maternità, le sanzioni o gli interessi per omesso versamento di quanto dovuto, ma non potrebbe riguardare neppure il contributo soggettivo eccedente il minimo. Ebbene, se si dovesse ritenere che a consentire ciò (direttamente o tramite delega regolatoria a Cassa forense) sia stata la legge, bisognerebbe censurare quest'ultima per incostituzionalità, analogamente a quanto ha fatto, l'ordinanza della Cassazione, sez. Lav., n. 4881 dell'11/3/2015, che ha sollevato q.l.c. per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione (anche) all'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 alla CEDU, stante l’entità eccessiva del sacrificio del diritto previdenziale, imposto dal legislatore. Anche nel nostro caso, infatti, la q.l.c. risulterebbe fondata in forza della sentenza Stefanetti c. Italia della Corte di Strasburgo: la valenza retroattiva della legge dovrebbe essere valutata negativamente dalla Corte costituzionale per il fatto che è stata voluta senza che sussista equilibrio del sistema pensionistico e senza che fosse richiesta da impellenti motivi di interesse generale. Ma può certamente evitarsi di sollevare, sul punto, una q.l.c.: si deve, infatti, seguire il ragionamento di Cass., Sez. Lav., n. 5098/2003, per la quale, in caso di cancellazione del professionista dall'albo forense anteriormente alla maturazione dei requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, in base all'inequivoco significato letterale del combinato disposto degli artt. 10 e 21 della legge n. 576/1980, il professionista ha diritto al rimborso di tutti i contributi soggettivi versati. Cass., Sez. Lav., n. 5098/2003 precisò che i contributi soggettivi rimborsabili erano, oltre che a quello corrispondente al dieci per cento per i redditi fino a quaranta milioni, anche a quello corrispondente al tre per cento del reddito eccedente quella cifra. Tale interpretazione, aggiunse, non si presta a censure di illegittimità costituzionale sotto il profilo di una violazione dell'art. 38 Cost., non configurandosi alcuna lesione del diritto dei professionisti iscritti alla tutela previdenziale e assistenziale, né sotto il profilo di un vulnus all'art. 2 Cost., sub specie di violazione del principio di solidarietà. Chiarì pure che tale principio, se comporta che nell'ambito della medesima categoria assistita, o anche di diverse categorie, il livello delle prestazioni sia sganciato, entro certi limiti, dall'ammontare delle contribuzioni a vantaggio dei soggetti o delle categorie meno fortunati, non impone certamente che il peso delle prestazioni previdenziali debba essere posto a carico di soggetti non aventi diritto alle medesime prestazioni previdenziali.
NOTA 25 - Dispone l'art. 2, comma 2, del D.Lgs. 509/1994 “La gestione economico-finanziaria deve assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale”.
NOTA 26 - La sentenza della Corte di Cassazione n. 4146 del 15/5/1990, ha affermato che “la connotazione tributaria del contributo dovuto dagli iscritti alla Cassa è da escludersi sulla scorta delle considerazioni svolte da Corte cost. 167/86”, ragion per cui non c’è violazione dei principi di progressività in ordine alla contribuzione previdenziale forense, “non essendo estensibili alle contribuzioni previdenziali i principi di progressività stabiliti dall’art. 53 Cost.”.
NOTA 27 - Anche nel suo rapporto con la funzione di assistenza, pure attribuita alla Cassa forense.
NOTA 28 - I Ministeri Lavoro, MEF e Giustizia vigilano sul corretto esercizio dei poteri affidati alla Cassa forense, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 509/1994 che, tra l’altro, prevede:
"Vigilanza.
1. La vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'art. 1 è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'art. 1, comma 1. Nei collegi dei sindaci deve essere assicurata la presenza di rappresentanti delle predette Amministrazioni.
2. Nell'esercizio della vigilanza il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministeri di cui al comma 1, approva i seguenti atti:
a) lo statuto e i regolamenti, nonché le relative integrazioni o modificazioni;
b) le delibere in materia di contributi e prestazioni, sempre che la relativa potestà sia prevista dai singoli ordinamenti vigenti....”.
NOTA 29 - Recita l’art. 14 del Regolamento per le prestazioni previdenziali approvato il 5/9/2012: “ART. 14 – DISPOSIZIONI TRANSITORIE RELATIVE ALLA MISURA DELLA PENSIONE
1. Tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, per coloro che alla data del 31 dicembre 2007 abbiano compiuto almeno 40 anni di età e maturato almeno cinque anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa, avendo presente il principio del pro rata, di cui al comma 763 della legge 296/2006, l'importo della pensione di base sarà costituito dalla somma di più quote.
2. Per la prima e l’eventuale seconda quota, corrispondenti all’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 2007, calcolate secondo i criteri fissati dalla delibera del Comitato dei Delegati del 19 gennaio 2001, approvata con provvedimento ministeriale del 27 novembre 2001; l’ulteriore quota, corrispondente all’anzianità maturata dal 01 gennaio 2008 al 31 dicembre 2012, calcolata secondo le modalità previste dal Regolamento, approvato dai Ministeri Vigilanti con Nota del 18 dicembre 2009 e pubblicato in G.U. 31 dicembre 2009 n. 303; l’ultima quota, corrispondente all’anzianità maturata dopo il 31 dicembre 2012, calcolata secondo le modalità previste dall’art. 4 dal presente Regolamento.
3. La quota modulare, determinata secondo i criteri di cui all’art. 6, viene sommata alla quota di base per confluire in un trattamento unitario della prestazione pensionistica.”
NOTA 30 - - In questi termini si esprimeva il Presidente di Cassa Forense, Nunzio Luciano, nell’articolo intitolato “Al servizio dell’avvocatura”, pubblicato nella rivista della Cassa “La previdenza forense”, n. 1/2016.
NOTA 31 - Precisi parametri relativi al reddito netto professionale e al volume d'affari, con riferimento ad ogni specifico anno, fino al 2012 hanno costituito i limiti della continuità professionale sia con riferimento all'obbligo di iscrizione (il raggiungimento dell'uno o dell'altro comportavano l'obbligatorietà di iscrizione) che con riferimento alla efficacia dell'anno ai fini del pensionamento. Il regolamento di attuazione della dell'art. 21 della legge n. 247/2012, prevedendo la contestuale iscrizione Albi/Cassa, senza il raggiungimento di parametri reddituali, ha modificato i requisiti di iscrizione alla Cassa.
NOTA 32 - Paola Ilarioni, nell'articolo "La normativa previdenziale fino ai nostri giorni", pubblicato nella rivista della Cassa Forense, "La previdenza forense", n. 1/2016, ha evidenziato che per gli anni 2011 e 2012 tale accertamento della continuità professionale è di fatto inibito non avendo più, la Cassa, alcun potere di revisione.
< Prec. | Succ. > |
---|