dalla newsletter del CNF del 4 aprile 2019
Due quesiti del COA di Trapani in tema di incompatibilità professionale
Il COA di Trapani chiede di sapere se sussista incompatibilità all’esercizio della professione forense per il soggetto che, esercitando il ruolo di presidente ed anche di consigliere di un consiglio di amministrazione, presieda alle mansioni gestorie che competono collegialmente sul Consiglio intero (e non individualmente sulla figura apicale, la firma e la rappresentanza sociale spettano al presidente del consiglio di amministrazione nonché agli amministratori delegati, se nominati) e più specificamente su quelle che seguono: ”deliberare su tutti gli atti e le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione necessari per l’attuazione dell’oggetto sociale, acquistare, vendere e permutare beni mobili e immobili per le necessità aziendali. Consentire iscrizioni, cancellazioni e postergazioni ipotecarie, rilasciare garanzie a favore di istituti di credito per operazioni di finanziamento nell’interesse proprio e della società”.
Il COA di Trapani chiede, inoltre di sapere, al fine sopra indicato, se lo svolgimento da parte di un iscritto di attività gestoria di una società cooperativa agricola a prevalente interesse mutualistico sia compatibile o meno con l’esercizio della professione forense ed in particolare quando l’attività in concreto scelta attenga alla vendita in comune dei prodotti e sottoprodotti e la ripartizione del ricavo netto ai soci in rapporto alla quantità e qualità dei prodotti conferiti, all’acquisto di macchinari per la trasformazione e il trasporto dei prodotti, acquisto di macchine ed attrezzi agricoli, piante, sementi bestiame e quanto possa necessitare alle aziende anche per l’esecuzione di miglioramenti e trasformazioni, concedendoli, occorrendo, anche ratealmente ai soci; assunzione in affitto, acquisto di terreni per condurli direttamente in conto sociale o l’assegnazione ai singoli soci con preferenza ai meno abbienti”.
Per la risposta si rinvia al parere di questa Commissione del 25 settembre 2013, n. 92, che si riporta in calce, con l’avvertenza, tuttavia, che nel caso prospettato dal quesito non può essere ravvisata la figura del piccolo imprenditore stante la rilevante dimensione della società cooperativa agricola e l’attività in concreto svolta dalla medesima. In siffatta situazione la qualità di amministratore della società è incompatibile, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. c), della L. n. 247/2012, con la professione di avvocato.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Allorio), parere 25 settembre 2013, n. 92 Il COA di Rieti pone un quesito riguardante la compatibilità tra l’esercizio dell’attività d’imprenditore agricolo professionale (D.Lgs n. 99/2004) e l’iscrizione nell’Albo degli Avvocati. Ritiene questa Commissione che anche dopo l’entrata in vigore della Legge n. 247/2012 debba essere confermato il proprio costante orientamento, espresso nella vigenza del precedente ordinamento professionale forense e illustrato da ultimo nei pareri 14 gennaio 2011, n.1 e 25 novembre 2009, n. 44 e 9 maggio 2007, n. 31, nei quali si sono indicati i criterî utili a valutare in concreto la compatibilità tra lo svolgimento di attività imprenditoriale agricola e la contemporanea permanenza nell’albo degli avvocati. Si deve premettere che l’incertezza interpretativa ha ragione d’essere solo con riferimento al piccolo imprenditore agricolo: è evidente che, qualora si tratti di un titolare di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all’industria e al commercio nel settore agroalimentare, questi deve essere considerato un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui all’art.18 della Legge Professionale Forense e l’iscrizione nell’Albo incompatibile con l’attività svolta. Di contro, non rientra tra quelle incompatibili la figura del piccolo imprenditore agricolo: tale è per il codice civile (art. 2083) e la giurisprudenza colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi. Manca, dunque, al piccolo imprenditore agricolo quel quid pluris, rappresentato, ad esempio, da una organizzazione aziendale molto articolata, o dallo smercio di prodotti chiaramente eccedenti quelli prodotti dal fondo, o, anche, da una rilevante trasformazione del prodotto naturale, da cui si possa arguire che il carattere predominante dell’attività intrapresa è l’esercizio del commercio, anziché il mero sfruttamento (più o meno redditizio) delle risorse terriere. Si consideri che i caratteri sopra indicati sono, del resto, quelli che garantiscono al piccolo imprenditore la non assoggettabilità alle norme in materia di fallimento, secondo la previsione dell’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato con d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (il profilo della soggezione, o meno, al fallimento rimanendo peraltro un corollario e non un criterio distintivo univoco). La condizione di piccolo imprenditore agricolo non è quindi d’ostacolo al contemporaneo esercizio della professione forense, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza: vale a dire, finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, di tal ché sia messa a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato (che è bene effettivamente oggetto di tutela da parte dell’ordinamento forense), per il suo entrare nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori commerciali. Resta, naturalmente, nei compiti e nei poteri del Consiglio dell’Ordine competente, svolta l’istruttoria del caso, giungere ad una determinazione sulla compatibilità dell’iscrizione nel singolo caso.
Consiglio nazionale forense (rel. Salazar), parere del 13 febbraio 2019, n. 19
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